Imparano e sanno rispondere ecco gli umanoidi della Jampaa

L'azienda padovana realizza circa 12 modelli diversi «Opportunità per delegare le parti ripetitive e migliorare  la qualità del lavoro» 

PADOVA. Non hanno sviluppato dei semplici robot camerieri ma molto di più: delle supervisor machine learning con l’ambizione di comunicare con l’uomo. L’interazione è già possibile: uno dei robot umanoidi della Jampaa, Paolo Pepper, ha partecipato alla trasmissione I Soliti Ignoti della Rai e i “colleghi” Sanbot Elf lavorano come receptionist negli hotel. E la padovana Jampaa è oggi leader italiana.

«La differenza tra i robot-camerieri e i nostri – spiega l’a.d. Mauro Puttolu – è che i primi si limitano ad andare da un punto A ad un punto B, quelli che sviluppiamo noi, circa 12 modelli, rispondono ai clienti di un albergo, danno informazioni, vendono auto. Più sono a contatto con l’uomo, più sono capaci di apprendere, sono capaci di interagire e di interpretare una frase».

Con una certa cautela. Tre anni fa il gigante Macrosoft, non avendo applicato filtri, ha dovuto ritirare il suo chatbot Tay perché aveva imparato commenti razzisti, xenofobi e sessisti, perdendo in rispetto e guadagnato in inciviltà. «Il robot – spiega Puttolu – non ha etica, non sa cosa è bene o male. Lasciando aperto l’algoritmo impara tutto, anche le cattive azioni. Dunque prima deve passare dalla nostra super visone: finché non riceve l’ok, non impara l’informazione nuova e non l’apprende».

Jampaa ha realizzato il primo progetto italiano con il Ciset (Centro Internazionale di Studi sull’Economia Turistica) dell’Università Ca’ Foscari e la Regione, ovvero l’industria turistico-alberghiera 4.0. A Jampaa la responsabilità di “formare” i robot umanoidi. «Siamo partiti da una ricerca condotta in un albergo di Peschiera – racconta Puttolu – che aveva contato le ore “perse” dagli operatori turistici a dare info ripetitive: la password del wi-fi dell’albergo, le indicazioni di colazione o degli orari della piscina. Come riportato anche in un’analisi europea di McKinsey, il 46% di lavoro non era valore aggiunto, ovvero quel 60% in cui solo l’uomo fa la differenza. Abbiamo così sviluppato dei robot umanoidi che oggi lavorano in albergo o vendono auto nelle concessionarie o assistono alla vendita negli store o accompagnano i pazienti negli ambulatori».

Siamo indietro nella corsa al robot? «In Silicon Valley hanno investito circa 1 bilione di dollari per questa tecnologia e in Giappone ne vendono 150 al mese dal 2014, anche come “amici” dei ragazzi. Gli utilizzi potrebbero essere infiniti, penso all’assistenza remota e alla sanità, ma dobbiamo prima superare un limite culturale. Eppure chi lo prova, chi ci lavora, capisce che è un’opportunità per delegare e migliorare la qualità del lavoro, non porta via lavoro a nessuno e non sostituisce l’uomo. Questa è la quarta rivoluzione industriale, spero solo non ci accorgeremo della sua importanza quando, aprendo la porta di casa, vedremo le auto a guida autonoma». Le infrastrutture necessarie? Una buona connessione wi-fi in quanto tutta la sofisticata tecnologia che anima il robot risiede sul cloud. —

E.SCI.

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