Inchiesta Expo, la Guardia di finanza alla Mantovani

PADOVA. La Guardia di finanza è tornata negli uffici della Mantovani Spa. Dopo aver perquisito la sede legale di Expo in via Meravigli a Milano ha fatto lo stesso nel quartier generale dell’azienda padovana travolta dallo scandalo Mose e ora da quello dei lavori all’esposizione universale.
È la vicenda che ha fatto traballare la poltrona del sindaco di Milano Giuseppe Sala, che si è autosospeso dalla carica in attesa di chiarire la sua posizione giudiziaria. Autosopensione rientrata solo in queste ore.
Gli investigatori del Nucleo di polizia tributaria, su mandato del procuratore generale Felice Isnardi, hanno acquisito nello stabilimento di via Belgio una lunga lista di documenti. Carte necessarie per mandare avanti la nuova indagine che nelle settimane scorse è stata avocata dalla procura generale.
Video. Sala indagato, l'avvocato in procura a Milano
L’inchiesta vede al momento indagati gli ex manager di Expo, Antonio Acerbo e Angelo Paris, l’ex presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita, e Erasmo e Ottavio Cinque, due uomini della Socostramo (società parte del consorzio che si è aggiudicato l’appalto). Le accuse sono, a vario titolo, di turbativa d’asta e corruzione.
Ma l’approfondimento della Procura non riguarda più solo l’aggiudicazione dell’appalto, bensì anche la realizzazione dell’opera. Si entra quindi anche nel perimetro della “nuova” gestione di Mantovani con Carmine Damiano presidente.
Al centro dell’inchiesta resta comunque il ribasso record del 42 per cento dell’appalto, su una base d’asta di 272 milioni, con cui l’azienda di costruzioni veneta si è aggiudicata i lavori, prevalendo su Impregilo e Pizzarotti.
La mancata “verifica di congruità”, il sospetto che gli imprenditori avessero pagato delle tangenti (mai individuate) e che avessero garantito già prima dell’aggiudicazione dell’appalto il riconoscimento di varianti in corso d’opera, ha fatto scattare le indagini.
Video. Sala autosospeso: atto fulmineo e dirompente
Il contraccolpo padovano, come evidenziato in un approfondimento di Renzo Mazzaro, è il ritardo del saldo all’impresa Mantovani per i lavori alla piastra, basamento che doveva sostenere i padiglioni dell’esposizione: 12 milioni di euro, ultima tranche del famoso appalto vinto da Piergiorgio Baita, all’epoca presidente e amministratore delegato dell’azienda.
In tutto questo, Giuseppe Sala, sindaco di Milano, è accusato di falso materiale. Nel maggio 2012 da amministratore delegato di Expo ha retrodatato la nomina di un commissario nella gara per assegnare i lavori della piastra. Gara poi vinta dalla Mantovani, in cordata con Coveco, Ventura, Silev e Socostramo, grazie ad un’offerta di 165 milioni.
Le motivazioni per cui l’avrebbe fatto e i suoi rapporti con Mantovani sono contenuti nella ricostruzione dell’inchiesta milanese, iniziata il 20 marzo 2014 con l’arresto di Antonio Rognoni, direttore generale di Infrastrutture Lombarde Spa, società interamente partecipata dalla Regione Lombardia.
«Sono stato testimone del fatto che Sala ha intrattenuto rapporti con il figlio di Chiarotto e con il presidente di Mantovani, in cui Sala ripeteva: “In questo contesto l’unica cosa che non manca sono i soldi”. Facendo capire che vi era disponibilità da parte della stazione appaltante a liberare risorse in favore dell’appaltatore».
Anche Piergiorgio Baita ha parlato a lungo con i magistrati milanesi, vuotando il sacco su tutto ciò che stava dietro Expo. Ha riferito di aver incontrato da subito grande ostilità, frutto di una volontà politica che spingeva per la rinuncia della commessa pubblica appena aggiudicata.
«Mi dissero che dovevo valutare che i lavori non solo dovevano essere acquisiti ma anche gestiti e che la piazza di Milano non era una piazza semplice, ma assai chiusa per la presenza di un sistema spartitorio degli appalti. Nel senso che vi era una spartizione di massima riguardante il settore della Sanità e del settore delle Infrastrutture e costruzione di grandi opere: il primo settore controllato dal sistema delle cooperative e dalla Compagnia delle Opere, la seconda dal gruppo delle grandi imprese nazionali di costruttori, con prevalenza delle Milanesi».
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