La benedizione di Don Gallo: «Qui sento respirare il Vangelo»

Travolgente il connubio centro Pedro-don Andrea Gallo. Un respiro di aria ossigenata, di parole alte e forti, di richiamo alla resistenza e di iniziative concrete come gli acquisti collettivi contro...
Di Alberta Pierobon
PIEROBON - DON ADREA GALLO AL PEDRO
PIEROBON - DON ADREA GALLO AL PEDRO

Travolgente il connubio centro Pedro-don Andrea Gallo. Un respiro di aria ossigenata, di parole alte e forti, di richiamo alla resistenza e di iniziative concrete come gli acquisti collettivi contro la crisi promossi dal centro sociale che ieri il don è venuto a “benedire”. A suo modo, ovvero «in direzione ostinata e contraria», tanto che, francamente, davanti al potente inno alla ribellione e all’antagonismo cantato dal prete “anarchico”, quelle dei pedrini paiono canzonette.

Ieri, in via Ticino non era il giorno dopo la spruzzatona di vernice rossa sul capo dell’associazione di destra Casa Pound («E’ evidente che in questa città non c’è spazio per i fascisti, manco travestiti», rispondono, a domanda d’obbligo, alcuni dei vèci fondatori del Pedro. Punto e discorso chiuso); ieri era la grande giornata di don Gallo e del Pedro aperto alla città con il mercatino e con la consegna agli acquirenti della spesa collettiva (www.ecomagazine.info per fare le ordinazioni, assai convenienti. Prossima riunione, prelievo spesa, tessitura di rete sociale, ospite di grido e da richiamo,il 30 gennaio).

Don Andrea Gallo, genovese, 84 anni e chissà che l’altissimo gliene conceda altrettanti, un tour in corso a ritmo di palasport con “Io non taccio”, due ore su Savonarola (al PalaGeox il 30 gennaio), il sigaro che si spegne di continuo, la memoria accesa che illumina come un rogo, raggiunge via Ticino alle 17.30. La mattina è arrivato in auto da Genova e si è fatto quattro ore alla Banca Etica alla presentazione del conto corrente per raccogliere fondi e dare rapida vita ai primi progetti verso la Fondazione San Benedetto al Porto e don Gallo (San Benedetto è la comunità di Genova fondata dal don). Ma «non potevo dire no al Pedro. Quando vedi gente per bene e contro, vuol dire che sei nel posto giusto», dice e per chi non avesse raccolto: «Per me i centri sociali sono vita. Qui sento respirare il vangelo, di sicuro non nelle sacrestie o nei palazzi. Questi sono i luoghi della resistenza». Raggiunge il Pedro e si siede nello stanzone a temperatura da geloni, tra banchetti di verdure, pane e libri, in un pullulare di giovani cooperative, di biologico, di ragazzi che si sono buttati anima e corpo nel tentativo di un’altra economia. E decollano altre due ore abbondanti di chiacchierata sempre «in direzione ostinata e contraria», davanti a un folto pubblico di svariatissime età. Che lui sprona «a tirare su la testa contro il potere della mia chiesa, i poteri massonici, mafiosi, la dittatura dell’economia: perché in Italia sono tanti che strisciano per terra».

Parla a ruota libera, dopo il peana ai centri sociali di tutt’Italia che lui conosce uno ad uno, e dopo un potente j’accuse sui fatti del G8 di Genova e su Carlo Giuliani («La pallottola ha rimbalzato, è finita sulla testa di un ragazzo e l’ha ucciso? Ma ci facciamo prendere per il culo?»), si ferma sulla dittatura finanziaria che sta schiacciando il Paese: «Governo di tecnici. Tecnici che sono i chierichetti del capitalismo: Monti, Gnutti, Passera, Draghi e gli altri. Signori, non è una cinica pretesa dirci che l’unico mondo possibile è il vostro? Quello nel quale il capitalismo deve arricchirsi, e ora si è solo accorto che non si arricchisce più». Berlusconi? «Mio nonno Carl Marx mi diceva che quando la storia si ripete è una farsa». Grillo? «Belìn, è un grande! Tre chilometri e 800 metri di stretto ha attraversato, a 60 anni. Prima è stato tre mesi in piscina: gli telefonavo e non c’era mai, sempre in piscina. Però nella traversata, io lo so, aveva le pinne...». Poi si impenna, e leva alto il dito in un monito: «Ricordatevelo, nessuno si libera da solo. Nessuno libera un altro. Ci si libera tutti assieme». E in una supplica: «Ragazzi, vi supplico: avevo 17 anni quando è nata la democrazia, l’ho vista crescere: adesso sono vecchio, sto morendo, non voglio vederla morire. Essere partigiano vuol dire scegliere da che parte stare». Don Gallo si guarda attorno, tutti lo salutano «ciao don», e lui: «quando incontro questi giovani, il vecchio partigiano che ho dentro si rincuora. Questi sono i miei posti: e dove devo andare? Nelle sedi di partito? Nelle sacrestie di una chiesa che si mette al posto di Dio?». A questo proposito, non le manda a dire manco a Benedetto e alla sua uscita sulla «pericolosità» dei legami gay: «Devo dirglielo al mio papa che è rimbambito: mi hanno scritto due amiche lesbiche chiedendomi: davvero? Siamo noi il pericolo del mondo?». Già che c’è racconta di quando il Bagnasco lo convocò in Puglia: don Gallo era diventato presidente dell’associazione di trans Princesa, a parere del cardinale un’iniziativa un tantino azzardata. «Come la mettiamo con i trans? Mi disse Bagnasco. E io: eminenza, come la mettiamo con i trans? Secondo lei sono figli di Dio o no? Sì, mi rispose. D’accordo, allora, arrivederla».

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