La buona cucina non fa sprechi

di Eleonora Cozzella
Un vero cuoco si riconosce quando fa la spesa. Perché sa scegliere. Non solo in termini di qualità ma di quantità. Ed è questa la chiave per non sprecare cibo. Parola di Davide Oldani, uno dei volti ambassador per Expo, secondo cui «solo con grandi prodotti si può fare grande cucina, che coniughi benessere e sostenibilità».
Il suo mantra? «Pensare prima di comprare, pesare prima di cucinare». L’eccellenza gastronomica in dosi giuste soddisfa dunque palato, esigenze di salute, coscienza ecologica, portafogli.
Non sorprende che, dalla facoltà di Economia di Harvard lo abbiano chiamato a tenere una lezione sul suo modello imprenditoriale, come pure alla Hec, scuola di marketing parigina e al master universitario in Business Administration a Bologna. Il ristorante D’O a Cornaredo, vicino a Milano, è insomma un “case history”. Perché Oldani, già ragazzo prodigio – durante gli anni con miti come Albert Roux, Gualtiero Marchesi e Alain Ducasse – e oggi maestro per molti giovani cuochi, nonché amato volto televisivo, è riuscito a realizzare quello che all’inizio sembrava un sogno velleitario: rendere accessibile al grande pubblico l’alta cucina. Che ha chiamato Cucina Pop.
Che significato ha per Oldani lo slogan di Expo “Nutrire il pianeta”?
«Vuol dire sensibilizzare tutti quanti sul valore del cibo e quindi, di riflesso, fare una cucina pop. Dove ci siano il rispetto della filiera, dal produttore al contadino all’ospite, fondamentale per offrire buon cibo, e soprattutto il rispetto per la natura e i suoi ritmi stagionali».
Come sta affrontando l’Expo la sfida di parlare a tutti di cibo?
«In modo molto intelligente, a partire dal layout. Basti pensare che nel decumano, la via centrale, sono stati allestiti nella parte più visibile i padiglioni dei paesi più poveri (molto aiutati dall’Italia per riuscire a partecipare) e “in periferia” quelli più ricchi. Ci siamo sensibilizzati tutti quanti ed è questa la svolta per il mondo quanto ad attenzione sul cibo. Una svolta a cui abbiamo dato impulso noi italiani. E dobbiamo esserne orgogliosi. Quanto al mio modo di pensare al cibo di qualità accessibile a tutti è perfettamente in linea con lo stile di Expo. La mia linea di condotta mi permette di fare alta cucina accessibile. Ristorazione d’eccellenza a cui tutti possono avvicinarsi».
È stato calcolato che entro il 2050 saremo nove miliardi di persone sulla Terra. Come assicurare cibo per tutti? Bisognerà produrre di più?
«No, macché produrre di più. Produrre assolutamente meno. Valorizzare quello che il Buon Dio ci dà, questo comporta seguire la stagione, non stressare i terreni. Faccio un esempio. Si è parlato di crisi della produzione del cacao, paventando che in futuro dovremo fare a meno del cioccolato. In realtà è che molti terreni vengono stressati per ottenere una produzione forzata, per ottenere raccolti tutto l’anno e alla fine la terra si impoverisce. Ma se rispettiamo la natura e i suoi ritmi non c’è bisogno di rinunciare al cioccolato».
Dunque, nel quotidiano cosa può fare ognuno di noi? E cosa può fare un cuoco?
«Sono convinto che alimentazione sana, cibo sostenibile, azione anti spreco e grandissima cucina siano facce di uno stesso concetto. La cucina sostenibile è tale se evita gli eccessi: in un pasto una sola volta i carboidrati e le proteine animali, per esempio. Tutto all’insegna dell’armonia: leggerezza, non ripetitività, prodotti di qualità. Certo io sono un cuoco quindi gioco con abbinamenti e cotture per soddisfare un lato edonistico. Ma il risultato sulla salute è lo stesso. Ma attenzione: quando parlo di sostenibilità, di azione anti-spreco non mi limito all’idea di valorizzare gli scarti. Non sprecare va oltre il ri-utilizzare. È che gli scarti non vanno proprio creati. Quando siamo al mercato dobbiamo acquistare solo ciò che serve in base a un menu prestabilito. Quando buttiamo la pasta dobbiamo cuocere solo la quantità necessaria. Appunto: pensare prima di comprare, pesare prima di cucinare».
Insomma saper essere un buon economo. Non a caso il suo successo come chef ristoratore è diventato un case history. Abbiamo dunque bisogno di cuochi che siano più imprenditori?
«Grande pubblico e alta cucina sembravano una sintesi irrealizzabile se non altro per i costi. Ma l’alta cucina pop, fondata su centralità dell’ingrediente, ritmi della natura quindi del mercato, è arrivata al gol. E oggi non abbiamo bisogno di più cuochi, ma di cuochi che sappiano fare bene questo lavoro. Il vero cuoco sa programmare in anticipo spesa e preparazione, preservare la materia prima, evitare gli sprechi, e di riflesso fa bene l’imprenditore. Ma il successo nasce dalla competenza al mercato e in cucina».
Con il libro “Chefacile” aveva ripreso le ricette della tradizione regionale lombarda. Ora con l’ultimo libro, “Pop food - la cucina non regionale italiana” sembra ribaltare il concetto. Qual è l’obiettivo?
«È un’evoluzione. Qui mi concentro sul prodotto, sul saper distinguere e valorizzare le eccellenze italiane a prescindere dalla ricetta. La ricetta deve essere quella cosa democratica che ognuno svolge come preferisce. Ciascuno cucinando può esprimere la sua parte “artistica” senza sentirsi vincolato a una formula. L’importante è la scelta della materia dei prodotti tutelati, di qualità. Non l’olio di seconda scelta, non la mozzarella finta, non le imitazioni di Parmigiano Reggiano o Grana Padano ma l’agroalimentare italiano tutelato».
@ele_cozzella
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