La figlia: «Una ferita aperta, dolore senza pace»

Mara Moressa, avvocato: «L’inchiesta ha avuto gravi lacune, resta solo tanta amarezza»
Il feretro di Angelo Moressa portato fuori della chiesa
Il feretro di Angelo Moressa portato fuori della chiesa

CODEVIGO. Una ferita aperta, immune al proverbiale potere taumaturgico del tempo.

Non c’è giorno che passi da quella sera di dodici anni fa, senza che i familiari di Angelo Moressa non si chiedano chi lo abbia ucciso. Con tanta rabbia e ferocia, presentandosi nel suo ufficio con il preciso intento di farlo fuori. Una domanda che ha rischiato di trovare una risposta, poi sempre naufragata in riscontri mancanti.

«Il dolore che proviamo non può trovare pace» ammette Mara Moressa, oggi affermato avvocato civilista, «l’inchiesta sull’assassinio di mio papà ha avuto gravissime lacune che abbiamo sempre cercato di sottolineare e fare emergere. Ci siamo opposti con fermezza alle diverse richieste di archiviazione, ritenendo che ci fossero sempre elementi sufficienti per giustificare il proseguimento delle indagini». Indagini che in effetti sono state prorogate per due volte grazie alla decisione del gup che ha respinto le richieste del pm, e che hanno portato all’iscrizione del registro degli indagati di tre persone. Eppure quella che rimane oggi nella famiglia dell’immobiliarista assassinato, è l’amara sensazione che di più e meglio si poteva fare per dare un volto e un nome all’assassino.

«L’atto vandalico alla tomba di papà e poi il trafugamento della sua bara sono stati episodi di una gravità assoluta» sottolinea Mara, «che hanno profondamente turbato tutti noi e in particolar modo nostra madre. Episodi che hanno contribuito ad acuire la sofferenza». Ma anche a riaccendere un po’ di speranza, almeno su un possibile nuovo impulso all’inchiesta. «In parte così è stato all’epoca» conferma la giovane legale, «ma anche quelle speranze si sono infrante contro il nulla di fatto dei riscontri». Era stata proprio Mara a scoprire il corpo del papà ucciso. Una scena che rimane impressa nei suoi occhi, come scolpita nel marmo. La giovane donna era particolarmente legata al papà che di lei era davvero orgoglioso dopo la laurea e l’abilitazione a praticare come avvocato. «Nei giorni successivi alla tragedia in molti hanno cercato di infangare il nome di papà» ricorda Mara, «ma gli amici sinceri ci sono rimasti vicini e lo sono tuttora, e con noi condividono l’amarezza per un assassino che rimane senza nome». (e.l.)
 

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