La Lega di Castelbaldo e la guardia dell’Adige

Date a Cesare quel che è di Cesare. Solo che a volte Cesare, vale a dire il potere temporale, senza aspettare che qualcuno di imparziale faccia i conti ed assegni a ciascuno il dovuto, viene colto dalla tentazione di prendersi direttamente qualcosa, soprattutto se gli serve. E’ a un arbitrario sconfinamento di questo tipo che deve buona parte del proprio Dna Castelbaldo, tramutatasi da luogo di Dio, vale a dire spazio dello spirito, a possedimento di Cesare, nella fattispecie il Comune di Padova che la sceglie come postazione ideale per costruirvi una fortezza.
Le terre, in illo tempore, appartenevano infatti al monastero di Santa Maria della Vangadizza: storica abbazia di Badia Polesine, che affonda le sue radici nell’anno 800, quando i monaci benedettini si stabiliscono su un’ansa della sponda destra dell’Adige ricca di boschi, dove danno vita a un’abbazia che a partire dal tredicesimo secolo, grazie anche a una serie di donazioni e di privilegi da parte di famiglie nobili dell’epoca tra cui gli Estensi, diventa una delle più potenti della pianura padana, con proprietà estese in ben cinque province.
A un certo punto, siamo nel milleduecento, entra in scena il Comune di Padova, che sta attraversando una fase di forte espansione territoriale. E che, malgrado la distanza della zona dalla città, coglie l’importanza strategica di quella dislocazione, a due passi dall’Adige, fiume il cui controllo è di vitale importanza nella partita che si sta giocando con l’altra grande potenza veneta dell’epoca, Verona; e che oltretutto presenta anche una forte rilevanza dal punto di vista commerciale, rappresentando un collegamento d’acqua con la direttrice che scende dal Brennero. Facendo la voce grossa, il Comune riesce a farsi dare dai monaci della Vangadizza parte dei terreni in destra fiume, con l’idea di costruirvi un castello. E siccome in quei tempi (e non soltanto), alla fin fine religione e potere non disdegnano di andare a braccetto, il progetto viene commissionato a una ben assortita coppia: Leonardo Bocca Leca e fra’ Giovanni degli Eremitani, entrambi valenti architetti; il frate, in particolare, è lo stesso che tra il 1306 e il 1309 realizzerà la copertura del Palazzo della Ragione a Padova.
Il complesso viene ultimato nel 1293; e siccome un po’ di piaggeria non guasta mai, gli viene dato il nome del podestà di Padova dell’epoca, Lambertuccio de Frescobaldi: Castro Baldo, poi per l’appunto Castelbaldo.
Ne risulta una fortezza a base quadrata, di 300 metri per lato, che diventerà prezioso punto di appoggio per i Carraresi, una volta ottenuto il controllo della città. Vi si insedia una podesteria, e il complesso diventa una piazzaforte in grado di accogliere 400 uomini in armi, di cui 80 cavalieri. C’è pure un torrione adibito a carcere: in esso verrà rinchiuso, tra gli altri, e a vita, un ospite eccellente: Bonifacio da Carrara, abate del prestigioso monastero di Praglia, accusato di aver tralasciato le cose dello spirito per tramare contro il suo stesso fratello, il principe Francesco I. Caino, in caso di necessità, può vestire tranquillamente anche la tonaca.
Una mappa del quattordicesimo secolo consente di cogliere con immediatezza la struttura che l’intero paese sorto attorno al castello ha finito per assumere, come strategico punto di controllo delle vie d’acqua e di terra. La località dà addirittura il nome ad una Lega, quella di Castelbaldo, che nel 1331 unisce Scaligeri, Visconti, Estensi e Gonzaga, nonché Firenze e Napoli, contro Giovanni di Lussemburgo re di Boemia (che ha conquistato diverse città dell’Italia Settentrionale) e lo Stato pontificio: ciò lascia presumere che il castello abbia ospitato un vertice per la firma dell’accordo. Un’intesa che dà frutto, visto che nel 1333 le truppe nemiche vengono sconfitte nel Ferrarese. Ma proprio quel ruolo politicamente e militarmente strategico finisce per esporre Castelbaldo a tutti i venti di bufera: nel 1387 il paese è teatro di uno scontro tra Carraresi e Scaligeri, in cui i primi hanno la meglio garantendosi il controllo di un ampio territorio e decretando di fatto il tramonto del potere veronese; ma poco dopo i milanesi Visconti stringono un’alleanza anti-Carraresi con Venezia, e così anche Castelbaldo finisce per passare sotto il dominio della Serenissima. La quale la lascia peraltro scivolare in un progressivo anonimato, facendole perdere il ruolo-chiave fino ad allora occupato: al punto che nel 1694 finisce per diventare addirittura magazzino di riciclaggio, smantellando letteralmente il castello e utilizzandone i materiali, trasportati via fiume, per costruire una nuova roccaforte più a ovest, nel Veronese, a Legnago, ruolo diventato a sua volta strategico; dell’imponente fortezza oggi non rimane traccia se non nel nome del paese.
Così alla fine le cose dello spirito hanno finito per riprendersi il primato sulla logica delle armi: se del castello c’è solo il ricordo, rimane viva e vegeta la chiesa, fatta costruire nel 1294 dal Comune di Padova (forse in segno di almeno parziale pentimento per l’esproprio forzato dei terreni ai danni dei monaci della Vangadizza…), e non a caso intitolata a San Prosdocimo, primo vescovo e patrono della città. Nei secoli, il tempio è stato sottoposto a una serie di lavori di riedificazione e ampliamento, conclusi di fatto solo nel Novecento.
Da segnalare che a non molta distanza c’era un tempo la chiesa di Santa Maria dei Battù con a fianco un ospedale intitolato a San Lorenzo; a fine Settecento, sull’impianto dell’edificio medioevale è stata costruita una chiesa più grande, dotata oltretutto del ruolo di arcipretale. E infine, va sottolineata un’opera dei primi del Novecento realizzata in seguito alla devozione popolare, con una vera e propria autotassazione: l’Oratorio del Pilastro, che si può ancora vedere all’incrocio tra via Refosso e via Garibaldi, e che la gente oggi chiama semplicemente “chiesetta del Capitello”. Un modo, anche questo, per sottolineare che alla fin fine pure Cesare deve pagare dazio.
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