La materia e l’impeto Amleto Sartori oltre la maschera

Ammirato in tutto mondo per i lavori dedicati al teatro il maestro padovano è stato anche un grande scultore
Di Anna Sandri

di Anna Sandri

Il suo talento era nelle mani, la sua forza nella passione. Dall’arte e dalla materia era posseduto. Fosse gesso, cera, terracotta, legno, cuoio, maiolica, marmi, le forme si piegavano al suo impeto, e da lui prendevano vita: non un soffio ma una tempesta di emozione.

Se il nome di Amleto Sartori, padovano, è conosciuto in tutto il mondo per la produzione senza uguali di maschere teatrali, il suo lavoro di scultore è meno noto al grande pubblico. Tra la sua arte e una conoscenza diffusa mancava l’anello di congiunzione: un’esposizione organica e completa, che ne mettesse in relazione tutte le sfaccettature. Questa mostra arriva ora, nel centenario della sua nascita; è stata inaugurata ieri a Padova, si potrà visitare fino a gennaio.

Pittore, poeta, scultore, l’artista emerge da questa operazione come una figura eclettica, in grado di esprimersi con mezzi diversi. Una figura interessante, capace di assorbire in sé l’arte di cui non era mai sazio: Donatello e Michelangelo i suoi modelli, osservati fino a coglierne il più piccolo dettaglio; ma anche l’intagliatore francese che guardava lavorare quando era bambino e dovevano sembrargli magia i fiori rococò che vedeva sbocciare dal legno nelle sue mani. E capace di farla propria, poi, quell’arte, di trasformarla nel segno di una personalità dominante, impetuosa, anche coraggiosa: il suo “Ercole e Anteo” racconta a questo proposito una storia simbolo, perché mai nessuno aveva letteralmente rovesciato il mito, ponendo Anteo nella lotta finale alle spalle di Ercole, non di fronte.

Osservando le opere di Sartori scultore si avvertono la tensione e la potenza che l’artista ha messo nella sua realizzazione. La perfezione dell’anatomia (assisteva alle autopsie per documentarsi al meglio, medici e studiosi gli chiedevano di disegnare tavole per rappresentare muscoli e ossa) conduce lo sguardo lungo un percorso obbligato, e non si riesce a distogliere l’attenzione dai muscoli, dai tendini perfettamente delineati, perfettamente rappresentati nel gesto e nello sforzo. Così è, con un’eleganza assoluta, anche nella scultura “Arlecchino” che apre la mostra, opera del 1961, summa dei due volti artistici di Sartori (la maschera-la scultura). Quell’Arlecchino fermato nel gesto leggero del salto ha in sé perfezione, grazia, astuzia. Sembra poter prendere vita in un istante, così come sembra prendere vita Tobiolo che stringe a sé il pesce per non lasciarlo sfuggire.

Tutto in Sartori è “espressione”: lo sottolinea la curatrice Virginia Baradel, invitando a soffermarsi sui particolari. Una mano, un piede: tutto è vivo. E a tanta potenza, può corrispondere altrettanta dolcezza: come accade nella Madonna che stringe a sé il bambino, «tenera e avvolgente», la Madonna che protegge - secondo la lezione di Michelangelo - il Figlio di cui conosce già il destino.

La mostra è divisa per sezioni, con opere che arrivano da musei e da collezioni pubbliche e private. Comprende i ritratti, con sculture in bronzo, marmo, pietra e legno; la scultura eroica e mitologica e allegorica con bassorilievi, litografie, disegni, figlia anche della sua passione per la letteratura); l’arte sacra con bassorilievi, disegni e opere. Naturalmente, una sezione è dedicata alla maschera e al teatro, la parte più nota della sua produzione; in particolare, proprio le maschere della Commedia dell’Arte, quelle con le quali - dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale in un’Italia che voleva rinascere dalle radici - reinventò (ma la critica sostiene che in realtà inventò tout-court) le maschere di cui si era perduta memoria e tradizione dai tempi di Goldoni.

Utilizzando il cuoio, Sartori faceva delle maschere involucri di vita; non coprivano il volto dell’attore, lo assorbivano. Osservarle dopo aver conosciuto il suo talento di scultore, dà un nuovo senso a questa produzione, fa capire perché è diventato presto - ed è rimasto da allora - il migliore al mondo nella costruzione di queste maschere. Riusciva, anche qui, a infondere la vita.

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova