La moglie: «Ciao, mio poeta del denim»
CAVARZERE. Come i matrimoni felici di Tolstoj, i funerali si somigliano tutti. Persino quello di uno stilista eccentrico e di successo come Nicola Bardelle non si è lasciato abbigliare facilmente. La vedova aveva chiesto un tappeto denim che iniziasse dal sagrato e corresse fino all'altare, il denim - anticamente detto tela jeans - non aderiva abbastanza alle pietre del piazzale e lo scotch per fissarlo stava male, per cui, dopo qualche tentativo, il personale si è rassegnato a stenderlo solo in chiesa.
Chiesa di San Marco in Cavarzere, cuore del paese, luogo di veglie e di preghiere quando l'acqua del Po, del Gorzone o dell'Adige arrivava in piazza, tempio in cui una comunità riconosce se stessa e suoi figli, accogliendoli quando vengono al mondo e salutandoli quando se ne vanno. Ieri dava addio a Nicola Bardelle, un uomo più largo del paese che l'ha avuto in vita. Nicola era sempre in viaggio tra Londra e San Tropez, andava a Milano, era più a Padova che a Cavarzere. La barista del caffé davanti alla chiesa ha scoperto che era lui leggendo il giornale. Insomma, Nicola era sotto i riflettori dell'attualità, appariva sulle riviste di moda e per molta gente poteva anche chiamarsi Jocob Coen come il marchio dei suoi jeans. A nord di Vicenza c’è Renzo Rosso, la Bassa Padovana aveva lui. Eppure non tutti lo conoscevano. E nessuno conosceva quei signori arrivati da fuori con i mocassini a pelle, le giacche strizzate, con il colletto delle polo alzato, o quelle signore, troppo magre e alla moda per essere operaie. Mondi lontani tra loro destinati a non incontrarsi. E invece è successo: quelli che non lo conoscevano e quelli che non si conoscevano si sono mescolati. A «sperimentare il misterioso e complesso intreccio della vitae della vita - ha detto bene don Fabrizio Fornaro - perché non c'è merito nell'essere scelti, ma è questo che è capace di fare l'amore».
La bara era bianca di rovere levigato, fatta in Francia, Pavarotti ne aveva una uguale. E c’erano sette uomini a tirarla fuori dalla Mercedes funeraria, e c’era un cuscino di fiori fatto a Porsche sulla cassa e tre preti ad officiare, c’era l’organo e le lacrime di una moglie trentenne, lo straniamento di due figli troppo piccoli per capire e la disperazione di un padre, Adolfo Bardelle, lui sì conosciuto da tutti, «El Tato» lo chiamavano, perché anche a 30 anni sembrava un bambino e nel ‘70 era davvero un bambino che scorrazzava felice nel suo paese dei balocchi costruitosi con i marchi Outsider, Forza 12, Avirex, Frank Scozzese e Americanino, la ricchezza sua e di un intero paese che non aveva più bisogno del vecchio zuccherificio e che gli consentiva di mandare la Rolls con autista a prendere il figlio all’uscita da scuola. Nicola è cresciuto in quella bambagia, sfrecciando sulle barche off shore di papà. Poi venne la crisi e il giovane conobbe la caduta. Quindi il riscatto, la riconquista strappata con le sue idee, Massaua prima, Jacob Cohen poi.
La moglie dal podio, gli ha detto che lo sentiva lì anche se non c’era più. «Ti sento e ti parlo ogni giorno. Eri generoso al punto che qualcuno non ti capiva. Eri un poeta del denim». E il padre, «El Tato», quando è toccato a lui salire al leggio, ha pianto, «da piccolo aveva paura delle galline - è riuscito a dire dolcissimamente - io prego Dio che tutti possano avere le mani e la lingua pulita come le aveva mio figlio».
Hanno applaudito. La moglie, all’uscita sul sagrato, ha alzato le mani come avesse vinto una gara e forse l’ha vinta davvero, per «quel misterioso e complesso intreccio della vita» che diceva don Fabrizio Fornaro.
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