La sua Honda Dominator per l’addio ad Alberto

selvazzano
Il carro funebre di Alberto Rossato è arrivato sul sagrato della chiesa di Selvazzano ieri mattina pochi minuti dopo le dieci. A scortare fedelmente il feretro nel viaggio alla chiesa dove da piccolo era stato battezzato, un centinaio di centauri, amici di sempre e conoscenti, sulle loro motociclette e ad accoglierlo due ali di folla. Al suo arrivo le campane hanno suonato a festa come era nel desiderio della famiglia per ricordare un ragazzo sempre solare e pieno di vita. Almeno 700 le persone strette in chiesa per l’ultimo saluto ad Alberto, trentenne ingegnere meccanico che lavorava per l’Unox di Cadoneghe morto in uno schianto in moto - in circostanze ancora da chiarire - in via Armistizio a Padova.
La bara è stata portata dinanzi all’altare dagli amici straziati dal dolore, dietro è stata posizionata la sua prima Honda Dominator, la sua moto del cuore che curava nella piccola officina personale che aveva allestito nella casa dei genitori di Selvazzano. Solo da pochi mesi, infatti, si era trasferito a Montà per convivere con la sua ragazza. In chiesa in molti nonostante il caldo sono vestiti con giacche e scarponi da moto, altri invece sono in divisa da scout, altra attività frequentata da Alberto quando era ragazzino e che probabilmente gli ha lasciato nel sangue la passione per visitare il mondo e la voglia di libertà.
«Il viaggio e l’essere sempre in strada per conoscere nuovi luoghi e nuove persone erano la vita di Alberto, che in sella alla sua moto ha viaggiato per tutta Europa» ricorda don Francesco nell’omelia. «Ascoltando chi mi raccontava la sua storia mi è venuta in mente la parabola del buon samaritano, per il tema ricorrente del viaggio ma anche per quello della misericordia e della vicinanza al prossimo. Alberto aiutava la onlus “The Small Now” che assiste i bambini provenienti dalle zone più povere dell’Africa e da tutti è ricordato come una persona che si prendeva cura degli altri». —
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