L’ad Beraldo dalla trincea di Ovs «Lottiamo, ho la fiducia dei soci»

Il gruppo mestrino affronta una dura sfida dopo il concordato in Svizzera della controllata Sempione Titolo sotto tiro: «Ma in assemblea solo lo 0,7% di astensioni». Gli analisti: «Avventura elvetica finita»
Foto Agenzia Candussi/ Morsego/ Mestre, via Terraglio 17, sede Oviesse/ Conf. stampa di presentazione della nuova campagna Oviesse "Arts of Italy" - nella foto: l'amm. del. Stefano Beraldo
Foto Agenzia Candussi/ Morsego/ Mestre, via Terraglio 17, sede Oviesse/ Conf. stampa di presentazione della nuova campagna Oviesse "Arts of Italy" - nella foto: l'amm. del. Stefano Beraldo

MESTRE. «Combattiamo con grande impegno». Stefano Beraldo, ad di Ovs, sta attraversando una tempesta perfetta. Una serie di eventi inanellati uno dietro l’altro, alcuni senza diretta consequenzialità, hanno portato Ovs in trincea, nel mirino di analisti e mercati. Il titolo in Borsa è sotto stress da aprile, da quando è stato presentato il bilancio 2017: quotava 5 euro, ieri ha chiuso a 3 in leggero rialzo dello 0,6%. Le cause? Prima i conti impattati da dollaro e svalutazioni, poi le dimissioni di un consigliere indipendente del board e del presidente del collegio, quindi l’implosione dell’avventura svizzera con l’avvio della procedura di concordato per Sempione Fashion (ex Charles Vogele), di cui Ovs controlla il 35%, e dulcis in fundo le banche che obbligano Beraldo a vendere 500 mila di azioni delle 1,92 milioni rilevate nel 2017 (quando l’azionista Bc Partners scese al 17%) per ristabilire la sua personale esposizione dopo la perdita di oltre il 30% del valore del titolo. Beraldo le aveva pagate 6,11 euro.

Oggi il manager risponde con un morbido «no comment» alla questione Sempione «per rispetto della procedura in corso»: davanti ci sono quattro mesi di attesa per capire se il commissario sarà a favore o no della liquidazione. Quanto alle dimissioni di Paola Camagni e del consigliere Vincenzo Cariello, decisione maturata, spiegava una nota, da «costanti e non più conciliabili divergenze di opinioni in tema di interpretazione e di applicazione di regole e principi di corporate governance», Beraldo non si tira indietro. «Nonostante le inconciliabili e differenti vedute sulla governance - spiega il ceo - c’è un fatto che considero una sorta di prova del nove: c’è stata un’assemblea che ha approvato il bilancio 2017 e la relazione del collegio sindacale senza voti contrari e con meno dello 0,7% di astensioni. Ciò significa che, nonostante questa situazione di difficoltà, siamo di fronte a un’approvazione piena anche sulla non distribuzione del dividendo (dell’utile) che ha generato una pressione sull’azione in Borsa. E questo mi sembra un grande segnale di fiducia».

Il vero nodo da sciogliere è al di là delle Alpi. Con i conti 2017 Ovs ha svalutato 35 milioni: 21 milioni sulla partecipazione in Sempione e 14 milioni di crediti commerciali. Ora però resta da capire se dovranno essere svalutati altri 20 milioni di crediti a rischio maturati da febbraio a oggi. «Lo scenario che si è delineato è il migliore - spiegano gli analisti di Equita - perché si è eliminato il rischio di ulteriori perdite ma l’avventura Vogele finisce qui con un unico sviluppo possibile: l’acquisto da parte di Ovs di un paio di negozi performanti».

Ovs aveva partecipato nel 2016 alla costituzione della società Sempione con una quota volutamente di minoranza (per non consolidare) e il lancio di un’opa sulla catena di negozi Charles Vogele già in stato pre-fallimentare. Il disegno era di far diventare l’azienda il franchiser svizzero con riconversione dei negozi Vogele in Ovs.

La situazione non era idilliaca fin da principio ma è degenerata lo scorso autunno, dopo il passaggio di insegne in Svizzera e Slovenia, da Vogele a Ovs. La clientela classica non ha più comprato; mentre i più giovani non hanno riconosciuto il marchio italiano. Fonti vicine alla società confermano che i risultati di Sempione Fashion sono stati molto al di sotto delle attese, causa un mercato in contrazione, condizioni meteo avverse e un processo di conversione della clientela più lento del previsto. Purtroppo, anche nel 2018, i risultati non sono migliorati. Così, di fronte alla messa in concordato, risulta evidente che dopo aver fatto tutto il possibile, non vi fosse alternativa. Ora restano 120 giorni di attesa. Ma la sensazione è che il cordone oltralpe ombelicale sia già stato reciso.



Argomenti:economia

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova