L’arte trasparente nelle Stanze del vetro

di Silva Menetto
VENEZIA
Fragile o infrangibile, leggero o pesante, trasparente o impenetrabile: qualunque interpretazione è valida perché il vetro è così, metafora della vita e della condizione umana con cui almeno una volta vale la pena confrontarsi nell'arco di una carriera artistica. Elemento che fa parte indissolubilmente del nostro quotidiano, attraverso cui ci specchiamo, come quando si passa davanti ad una vetrina e l'immagine che il vetro ci restituisce è specchio di noi stessi ma è anche qualcosa di diverso, il vetro diventa la materia-simbolo dell'esistenza. Sono molti gli artisti del secolo scorso e di quello che è appena agli iniziato che hanno voluto cimentarsi con questo mezzo espressivo. Ed è cosa assolutamente inaspettata e sorprendente la nuova mostra allestita nelle "Stanze del Vetro" sull'isola di San Giorgio, a Venezia, secondo step del progetto dedicato all'arte del vetro dalla Fondazione Giorgio Cini in collaborazione con Pentagram Stiftung, per mostrare le innumerevoli possibilità e declinazioni di questa antichissima materia. Dopo la mostra sui vetri di Carlo Scarpa per Venini, che lo scorso anno ha inaugurato anche i nuovi spazi espositivi del vetro alla Cini, la mostra "Fragile?" curata da Mario Codognato (che si inaugura domenica 8 aprile e rimarrà aperta fino al 28 luglio, con ingresso libero) è un omaggio a questo straordinario medium nell'arte contemporanea e al tempo stesso una sfida concettuale per il visitatore che si trova a compiere un viaggio attraverso metafore e simboli che interpretano la realtà attraverso la trasparenza. Come l'ampolla di "Air de Paris" di Marcel Duchamp (1919), ready made tra i più celebri del maestro dadaista, affiancata al barattolo di vetro che Ai Weiwei ha riempito con la polvere di un vaso del Neolitico, dal titolo evocativo di "Dust to Dust" (2009): come dire "dal tutto vuoto al tutto pieno, dall'assenza di significato alla Storia". Mario Codognato si è divertito ad inseguire proprio questo filo rosso tra le opere di Joseph Beuys, Pipilotti Rist, Gerhard Richter, Luciano Fabro, Mario Merz, Mona Hatoum: l'uso di vetro industriale, non artistico, non soffiato, utilizzato per ragioni non estetiche ma metaforiche. Come la teca di vetro di Walead Beshty, che riporta i danni subiti durante una spedizione con corriere espresso attraverso gli USA: lastre prima intatte, che giungono a destinazione incrinate, offese, che inevitabilmente hanno subito delle trasformazioni negli spostamenti da un luogo all'altro, come un diario di viaggio. Sala dopo sala ci si accorge di quanto il vetro sia materia duttile nelle mani degli artisti, che ne piegano i significati a seconda dei loro voleri. La sperimentazione degli anni Sessanta e l'arte concettuale si legano bene nell'opera di Barry Le Va, dove enormi lastre di vetro sovrapposte - intervallate a barre di alluminio, pezzi di feltro nero e cuscinetti a sfera di acciaio - sono state mandate in frantumi da personale locale, proprio nella sala espositiva veneziana che le ospita, secondo precise indicazioni dell'artista: un "qui e ora" che può esser. e riprodotto perfettamente senza la sua presenza e che ci rimanda una sensazione di violenza cui assistiamo un attimo dopo che sia accaduta. E se il teschio di Damien Hirst imprigionato tra pareti di vetro messe a croce ci rimanda a tutta la simbologia cristiana del "memento mori" cui l'artista di Bristol ci ha abituato, toccano il cuore nel vero senso della parola le voci dei "Migrants" (2013), raccolte da Cyril de Commarque e racchiuse in bottiglie trasparenti al cui interno battono membrane pulsanti simili a cuori. Sarà davvero fragile questo vetro?
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova