Le orchidee di Carceri al macero: «Ogni giorno ne buttiamo 8mila»

La preziosa produzione della floricoltura Menin costretta a fare i conti con lo stop alle vendite. «Perdiamo 250mila euro ogni settimana, se continua a lungo così ci toccherà chiudere»  

CARCERI. Ottomila orchidee al giorno al macero. Duecentocinquantamila euro di fatturato perso ogni settimana. Per la floricoltura Menin di Carceri l’emergenza coronavirus si sta trasformando in un disastro che rischia di mandare all’aria mezzo secolo di lavoro. Già, perché i Menin sono un’istituzione nel mondo del commercio floreale: la loro aziende è leader, in tutta Italia, nella produzione delle magnifiche orchidee Phalaenopsis, coltivate su 60.000 metri quadrati di serre e distribuite dai grossisti nelle fiorerie e nei garden di tutta la penisola.

Oggi i camion che partono dalle serre di via Braggio non sono dirette nei negozi, bensì verso il macero. Orchidee bellissime, perfette, curate. Ogni giorno i titolari dell’azienda ne devono buttare almeno 8 mila. La testimonianza di Monica Menin, titolare della floricoltura associata a Confagricoltura Padova, è drammatica: «Dobbiamo gettare via tutto. Ci piange il cuore, ma non abbiamo scelta. Da un mese non possiamo vendere più neppure una pianta. Le abbiamo provate tutte: anche a offrirle alla grande distribuzione al costo dell’imballaggio, devolvendo una parte in beneficenza. Niente da fare. Dopo il decreto dell’altro ieri qualcuno ci ha anche detto che i nostri non sono prodotti di prima necessità e non si possono neanche lavorare e consegnare».

L’online, poi, non è una soluzione: «Sono piante delicate, è facile che si sciupino se non ci sono imballaggi speciali. E comunque servirebbe a poco alla nostra azienda, che produce 2,5 milioni di piante all’anno. Abbiamo circa 150 clienti tra i grossisti, vendiamo dalle 30.000 alle 50.000 orchidee a settimana dal Piemonte alla Sicilia: vendere poche piantine online non ci aiuta».

Le preziose orchidee dei Menin vengono gettate soprattutto per carenza di spazio: la lavorazione a ciclo continuo ne richiede molto che, senza le vendite, viene a mancare. «Ogni settimana ci arrivano migliaia di piantine piccole che dobbiamo invasare e poi spostare e collocare su centinaia di bancali a seconda delle esigenze di temperatura e crescita. Ogni settimana dobbiamo venderne 50.000 per invasarne altrettante di nuove, altrimenti compromettiamo la produzione del prossimo anno. Perciò, mancando la vendita, dovremo buttare via centinaia di migliaia di piante, perfette e bellissime. Con Pasqua di mezzo e le altre feste si tratta di un danno enorme. Se la situazione dovesse protrarsi, ci toccherà chiudere».

Spese di gas, condizionatori e stipendi per 50 dipendenti: sono voci che pesano, anche e soprattutto per un’azienda di queste dimensioni, che fino a qualche mese fa pensava a vincere premi in giro per il mondo, e non certamente a prepararsi per un’emergenza epocale. I Menin sono solo uno dei tanti esempi di realtà florovivaistica che non sa come uscire da questo vicolo che appare cieco. «Stiamo intensificando la nostra azione sindacale per la tutela del comparto florovivaistico, intervenendo con le istituzioni regionali, nazionali ed europee per chiedere la messa in atto di misure specifiche» spiega Michele Barbetta, presidente di Confagricoltura Padova. «A livello nazionale la nostra associazione ha proposto al governo di inserire il settore fra quelli da indennizzare». —

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