Le volontà di Peggy non sono state tradite Sconfitti gli eredi

Finisce con una sconfitta per loro, che avevano promosso la causa; la gestione dell’eredità di Peggy Guggenheim - eredità non solo materiale, ma di pensiero, di volontà, e di condivisione dell’arte - ne esce promossa, con la Fondazione Solomon Guggenheim di New York e, per diretta discendenza, con la Collezione veneziana che era la casa di Peggy, e che oggi è (e resterà per sentenza) la casa aperta del confronto e dell’arricchimento dell’arte.
I discendenti della mecenate hanno perso la causa intentata a Parigi contro la Fondazione Solomon Guggenheim di New York e sono stati condannati a pagare 30 mila euro di danni. I giudici hanno respinto dunque la richiesta di revocare alla Fondazione americana la donazione della collezione lasciata al Ca’ Venier dei Leoni a Venezia dove Peggy aveva abitato fino alla morte nel 1979. Il tribunale ha ritenuto «irricevibile» sia la richiesta di revocare la donazione sia quella di ripristinare la collezione allo stato d’origine, confermado sul punto una precedente sentenza del 1994.
Tra le altre cose i discendenti chiedevano anche la soppressione dalle pareti del palazzo la menzione dei nomi di Rudolph e Hannelore Schulhof, i genitori di Michael Schulohof, un trustee della Fondazione, oltre a quelli di altri collezionisti, come Mattioli e Nasher.
A intentare la causa sono stati i nipoti del ramo francese della famiglia della grande collezionista: Nicolas e David Hélion, figli della sua unica figlia Pegeen e del pittore francese Jean Hèlion, e con loro Sandro Rumney, il nipote nato da un secondo matrimonio di Pegeen con il pittore inglese Ralph Rumney. Chiedevano il controllo dell’eredità al posto della Fondazione Solomon Guggenheim di New York che la gestisce dalla sua morte. A loro avviso, il lascito di Peggy era stato tradito: aveva legato la permanenza in laguna dei suoi capolavori - da Kandinsky a Brancusim da Max Ernst a Duchamp, da Chagall a Mondrian, da Magritte a Giacometti, fino al meglio dell’Espressionismo astratto americano, con Pollock, Rothko, Motherwell e molti altri - a precise condizioni.
Nel 1976, tre anni prima di morire, Peggy Guggenheim aveva ceduto la gestione della sua collezione alla fondazione newyorkese creata dallo zio Solomon Guggenheim, con precisi vincoli. La casa-museo di Ca’ Venier dei Leoni, con le opere che amava e il suo giardino sarebbero dovuti restare com’erano e dov’erano, tanto che per esporre opere legate a mostre o ad altre collezioni era stato acquistato un palazzo adiacente, per non confonderle con quelle di Peggy, che scrive nelle sue memorie: «La mia collezione deve restare intatta a Venezia e resterà con il mio nome anche se sarà amministrata dalla Fondazione. Nulla dovrà essere toccato».
Gli eredi contestavano che solo una parte della Collezione di Peggy sarebbe oggi esposta, integrata da altre opere della Collezione Schulhof, che lega il suo nome a quello della Guggenheim sulla facciata del palazzo. Il giardino di Peggy - dove si trova la sua tomba - accoglie le sculture esterne della Collezione Nasher: per i parenti, si trattava di una «profanazione di sepoltura». Per questa ragione, chiedevano l’estromissione della Fondazione Guggenhein dalla gestione della Collezione, con l’obbligo di restituire a Ca’ Venier dei Leoni l’aspetto originario, lasciandovi solo le opere di Peggy e cancellando le altre collezioni aggiuntesi nel tempo, creando un nuovo comitato di direzione per la sua gestione.
Un Tribunale francese già nel 1994 aveva respinto le richieste dei nipoti francesi di Peggy, ritenendole immotivate. La Fondazione ha sempre ribadito di avere pienamente e onorato le condizioni del lascito della collezionista, sviluppandone la vocazione per l’arte moderna che essa amava.
Di questa gestione, il giudice francese ha riconosciuto non solo i meriti, ma anche la correttezza. (r.c.)
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova