Liberty e Decò la Padova nova in novanta ville

Lungo le vie Aspetti, Reni, Minio e Bonazza un patrimonio nascosto tra torrioni e dipinti
MARIAN - AGENZIA BIANCHI - PADOVA - ARCELLA LIBERTY. CASA CON RITRATTO SANT'ANTONIO. VIA BONAZZA
MARIAN - AGENZIA BIANCHI - PADOVA - ARCELLA LIBERTY. CASA CON RITRATTO SANT'ANTONIO. VIA BONAZZA
ARCELLA. I topolini ballano in cima al cornicione del tetto di un villino in via Bonazza. In via Minio un putto cavalca un dragone e un altro lo trafigge con la spada. C’è un’Arcella sconosciuta, ma così bella da essere la più bella del quartiere Nord. È la “Padova nova”, costruita frammento dopo frammento tra gli anni Venti e Trenta del Novecento. Messa a dura prova dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale e gravemente colpita dalla miopia degli anni Sessanta e Settanta, che correvano all’inseguimento della modernità a tutti i costi. Siamo tra le vie Aspetti, Reni, Minio, Ferro, Vecellio, Piacentino, Liberi e soprattutto Bonazza e Furlanetto, giù fino alla Fornace Morandi: un patrimonio di almeno 90 tra ville o case.


Il cuore del Liberty-Decò padovano: un gusto, una fascinazione, un linguaggio che ha caratterizzato la produzione artistica italiana ed europea nei primi decenni del ’900. Si legge mondano e si scrive internazionale, si declina con la piacevolezza del vivere nel romanticismo esasperato, ma con fiducia sconfinata nel progresso. Non è per niente un caso che ci troviamo all’Arcella: qui è stata realizzata la ferrovia Padova-Venezia, secondo tratto nazionale dopo Milano-Monza; qui è stato inaugurato il cavalcavia Borgomagno, il primo viadotto in calcestruzzo in Italia. La passeggiata insieme al professore Leopoldo Saracini e allo studente Bogdan Gottardo, inizia dal Santuario di Sant’Antonino. È il 1903, un lascito di 13mila lire permette di completare il cuore dell’Istituto Vendramini alla sinistra del Santuario. È il dono di una madre che ha perso il figlio. Fu una benedizione, che ancora oggi non tradisce la missione del patronato di Sant’Antonio, vulcanico centro dedicato ai giovani. Subito dopo incontriamo la palazzina De Beschi, un’esplosione di Art decò; l’ex scuola Rosmini (oggi desolatamente abbandonata); la scuola Zanella; poi un “torricello”, purtroppo strozzato tra case senza grande pregio. Si scende in via Hayez, in via Demin e in via Furlanetto con il suo tripudio di villini e giardinetti: palazzo Fontana è un dono improvviso, la più bella della via.


Ma è via Bonazza a conquistare la scena: con i topolini che ballano in soffitta; il civico 13 che tutti vorrebbero avere; le ristrutturazioni recenti che finalmente riconoscono la bellezza dell’arte Liberty. Sono tutte dimore costruite per viverci da sofisticati proprietari, che ancora oggi sono abitate da “padovani arcellani”: la famiglia Seliciato; i Frosi; Pizzolo, la cui casa è rimasta abbandonata per venti anni e passata addirittura per sequestro giudiziario; il villino degli artisti Soppelsa che nel dopo guerra vantava il più bel giardino di rose dell’Arcella; la villa di Mario Zoppelletto, che ha dipinto un quadro del Santo sulla facciata esterna della casa.


E poi ancora l’edificio delle poste; il villino Briani, raffinata rivisitazione Cinquecentesca con tipiche citazioni; il torrione del civico 162 che ogni anno si “veste” per il transito del Santo. Qui risiedeva l’intellighenzia padovana: il filosofo e politico Ezio Riondato; il pittore e direttore dell’Accademia delle Belle Arti di Firenze, Gastone Breddo.


Alcune di queste case, non i villini, nemmeno le abitazioni più pregiate, ma dignitose case del secolo scorso, oggi vengono restaurate dalla fatica delle famiglie straniere, soprattutto rumene. Perché l’Arcella è anche questo: un mappamondo di 53 etnie (sul 70% di italiani) censite dai frati casa per casa.


Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova