“Life is beautiful” un piccolo grande eroe in un collage di ricordi

Paola Buratto Caovilla racconta la storia del papà Zeno che inventava le protesi per far camminare i bimbi africani
Di Manuela Pivato

di Manuela Pivato

“Life is beautiful” anche se ha scritto questo libro piangendo, nel vortice struggente dei ricordi, forse di qualche rimpianto, sicuramente della tenerezza infinita di figlia nei confronti di un padre che la vita aveva fatto grande e la morte immenso. Paola Buratto Caovilla, pittrice, blogger, scrittrice, stilista con il marito per la maison di calzature René Caovilla, una vita tra la Riviera del Brenta, Parigi e New York, ma il cuore saldo nella terra del Montello, paga al genitore scomparso due anni fa non il dazio della nostalgia ma l’onore della gioia per aver avuto un padre capace di rovesciare ogni cosa verso il lato bello dell’esistenza, inclusa – per quanto possibile – l’atrocità del campo di concentramento.

A questo uomo speciale Paola dedica un libro che è un delicato collage di fotografie, cartoline, mappe, disegni, lettere, appunti, ricordi che lo stesso Zeno Buratto – sapendo a sua volta di avere una figlia speciale – aveva raccolto, selezionato, salvato nelle valigie e nei file intuendo che forse, un giorno, la sua vita lunga e intensa sarebbe diventata altro, e precisamente “Life is beautiful” (Mondadori), la vita è bella, che è – insieme – titolo e suggerimento.

La vita di Zeno Buratto è stata davvero stupefacente e, se non fosse finita in un libro, avrebbe potuto diventare la trama di un film. Prigioniero a vent’anni, riuscì a sabotare una fabbrica di bombe vicino a Berlino; trasferito a Heidelberg, aiutò un ufficiale tedesco a salvare i suoi figli sotto la casa bombardata andando ben oltre il perdono, come scrive il giudice veneziano Carlo Nordio nell’introduzione del libro che sarà presentato il 25 novembre a Villa Necchi a Milano. Ritornato a Crocetta del Montello, dov’era nato, sposò Onesta alla quale ogni giorno regalava un fiore (era solito dire) e aprì una fabbrica di scarpe specializzandosi poi in quelle ortopediche. Poco dopo iniziò a viaggiare. Per due volte fece il giro del mondo. La sera guardava Onesta negli occhi e la mattina dopo erano in aereo per Sidney, dove andavano a teatro, o per la Polinesia, dove andavano in spiaggia. Ma soprattutto passò lunghissimi periodi in Africa e in Bangladesh a rimettere in piedi i “bambini serpente” - costretti a strisciare perché privi di gambe - grazie a protesi che inventava di notte. E se non era in qualche villaggio sperduto era a raccogliere fondi, smuovere coscienze, organizzare spedizioni, insegnare agli altri quello che aveva imparato da solo, e cioè che la vita va presa a morsi.

«Ho avuto un esempio, un faro, dei genitori speciali, e vorrei che anche altre persone che non hanno potuto godere di questo dono possano trarre vantaggio» scrive Paola nella dedica a sua padre, «I giovani, che tu hai sempre incoraggiato, devono avere una traccia nel duro percorso della vita, un esempio forte di coraggio e di speranza. Vorrei che un giovane, dopo aver letto questo libro, dicesse “voglio diventare come lui”».

Come lui. A sessant’anni Zeno Buratto anni sparì per un mese da solo in Nepal; a settanta andava ancora in parete; a ottanta creò il suo indirizzo di posta elettronica con l’account zeno@natolibero.it, a ottanta “photoshoppava” le fotografie per i nipoti; poco prima di morire – a quasi novant’anni – confidò alla figlia tutta la sua felicità perché vedeva i sorrisi dei suoi bambini che, oltre ai quattro di casa ormai cresciutelli, erano i più poveri del mondo. «Quando c’era qualcosa da vivere si buttava a capofitto» racconta ancora Paola che da ragazzina, insieme ai fratelli, per ricordare in quale parte del mondo fosse il papà metteva la bandierine sulla mappa del mondo, «era curioso, infaticabile e innamorato ogni giorno della vita».

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