La testimonianza: «Ho vinto la causa contro il mio ex, dopo due anni zero risarcimento»

Anna Iraci, oggi consigliera comunale a Limena, aveva subito minacce di morte per cui aveva sporto denuncia: «La legge va migliorata perché oggi sembra tutelare più il carnefice della vittima»

Luca Perin
Anna Iraci, consigliera comunale di Limena
Anna Iraci, consigliera comunale di Limena

«Tutti ti dicono di denunciare ma poi la giustizia anche quando ti dà ragione ti lascia sola». Anna Iraci ha 31 anni, fa la consigliera comunale a Limena e due anni fa ha vinto – dopo tre anni di lunga e pesante attesa – una causa contro il suo ex fidanzato per delle minacce di morte subite. Un’altra storia di violenza sulle donne perpetrata da un uomo che non ha saputo accettare un no e il termine di una relazione.

Ma il calvario di questo caso non si è esaurito con la sentenza: finora, infatti, Iraci non ha visto neanche l’ombra del risarcimento (che ammonta ora a oltre 10 mila euro) che le spetta secondo la sentenza del giudice. «Non voglio raccontare questa storia per lamentarmi del mio singolo caso, ma per denunciare come per tutelare le donne dalle violenze degli uomini gli strumenti che ci sono in questo momento non siano sufficienti».

Vicende di oppressione purtroppo comuni a molte donne che vivono o hanno vissuto sulla propria pelle cosa voglia dire anche solo la violenza psicologica e verbale maschile, quel comportamento che oggi sotto diverse forme viene chiamato “patriarcato”.

«Tutto è partito nel 2020 quando durante la separazione con il mio ex ho subito da parte sua minacce di morte. In quel momento ho avuto molta paura e per questo mi sono fatta coraggio decidendo di denunciarlo. Il problema è che da lì mi sono trovata ad affrontare un altro calvario, questa volta giudiziario. Prima del processo sono stata invitata a trovare un accordo con lui prima di procedere, ma questo avrebbe comportato dover ritirare la denuncia: una cosa che non volevo fare innanzitutto per me. Durante il processo ho avuto poi spesso la triste sensazione di sentirmi giudicata sbagliata e di essere considerata una approfittatrice che pensava solo ai soldi, quando a me interessava prima di tutto avere giustizia».

E la sentenza è arrivata solo tre anni più tardi, e da lì Iraci si è trovata intrappolata dentro una grande macchina burocratica. Il risarcimento che le spettava, insieme al rimborso di tutte spese legali, a due anni di distanza deve ancora arrivare e la situazione sembra essere finita in un vicolo cieco da cui è difficile uscire. «In primo grado è stato condannato a otto mesi, con la pena sospesa, e al risarcimento danni. In quei tre anni di attesa ho avuto sulle spalle un enorme peso fatto di ansia e preoccupazioni, e non è stato facile conviverci perché il pensiero anche se non vuoi torna sempre lì» confessa la donna, «il mio ex non ha presentato appello e la sentenza è diventata definitiva. Peccato che però a due anni di distanza dalla sentenza della somma che mi deve non ho visto un centesimo.

Infatti il cittadino è lasciato solo nel dover recuperare quel che la giustizia dice che è suo. In questo momento ho una tremenda sensazione: è come se questa battaglia legale l’avessi persa io e l’abbia vinta lui. A mie spese ho dovuto fare richiesta di accedere ai suoi conti bancari e una nota banca, nonostante sia obbligata per legge a fornire questi dati e nonostante cinque solleciti, ancora non ha provveduto a consegnarli a me e al mio avvocato. Questo ritardo è grave e questa situazione mi porta tanta rabbia e frustrazione. La beffa è che mentre io devo convivere con queste sensazioni, per lui invece nulla è cambiato. Servirebbe cambiare presto questo sistema malato» insiste Iraci, «che di fatto oggi tutela più il carnefice che la vittima». 

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova