L’ironia leggera sugli handicap tra il comico, il rosa e il musical

Ci sono degli handicap che al cinema diventano da sempre occasioni di facile ironia. I sordomuti ad esempio sono spesso al centro di gag che sconfinano nell’umorismo più greve. Non è il caso invece...

Ci sono degli handicap che al cinema diventano da sempre occasioni di facile ironia. I sordomuti ad esempio sono spesso al centro di gag che sconfinano nell’umorismo più greve. Non è il caso invece de “La famiglia Bélier”, di Éric Lartigau, che oltralpe ha avuto grandi incassi sulla scia di una fortunata comicità un po’ regionale e un po’ leggera, che è la cifra del cinema francese medio e che in Italia non conosciamo da tempo. Qui si aggiunge anche un tocco canoro – un po’ come i “musicarelli” nostrani anni ’60 (quelli con Little Tony, Gianni Morandi e Massimo Ranieri, per intenderci) – che accompagna le vicende dell’unico elemento “normale” di una famiglia in cui i genitori e l’altro figlio sono sordomuti. Paula è una ragazza adolescente, 16 anni, che si fa carico di una serie di problemi nella gestione dell’azienda agricola di famiglia (allevamento, formaggi, campi), traducendo e parlando al posto dei genitori, al mercato, al telefono, con la gente del paese. Allieva brillante del liceo, un giorno decide di entrare nel coro della scuola, per seguire un bel compagno, si scopre una voce di tutto rilievo e la sua vita cambia, scatenando le ansie del resto della famiglia che si vede abbandonata dalla figlia-tutor.

“La famiglia Bélier” parte come un film comico, sui registri dell’assurdo cari alla screwball comedy americana, si evolve poi nel genere adolescenziale indugiando a lungo tra banchi di scuola e confidenze amicali, per finire in una commedia rosa a sfondo artistico, tra “Billy Elliott” e “Non sposate le mie figlie”. La ricerca dell’identità di Paula (bella scoperta questa ragazza, Luane Emera, ex concorrente dell'edizione francese di “The Voice”) passa parallelamente per un’analoga autonomia ed emancipazione dalla diversità del resto della famiglia, che in realtà è altrettanto normale delle altre, si agita, si infiamma, prende posizione politicamente come qualsiasi cittadino del paese davanti alle fesserie del sindaco, addirittura decidendo di opporsi alla sua rielezione, candidando il capofamiglia.

Dotato di una solida sceneggiatura, calibrando bene i personaggi pur negli schemi dei generi, indugendo a volte un po’ troppo negli assoli musicali (ma la sequenza muta nel finale, soggettiva della famiglia, è da antologia), il regista Lartigau non utilizza mai l’handicap come un artifizio, ma lascia a ogni personaggio una chance, facendo affiorare humour ed emozione.

Durata: 110’ – Voto ** ½

Michele Gottardi

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