L’obiettivo possibile: educhiamoci alla felicità

So bene che non me l’hai mai chiesto. Almeno non esplicitamente. Eppure credo sarebbe giusto che tu mi domandassi se sono felice, se lo sono mai stato e perché. E se sarò capace di esserlo ancora nel tempo che mi rimane da vivere. Ciascuno dovrebbe chiederselo, anche se è la domanda piú difficile che ci si possa fare. Ogni giovane dovrebbe chiederlo ai propri genitori, ai propri maestri, a tutte le persone che incontra, specie a chi ha navigato già per un bel tratto dell’esistenza. Un collega psicoanalista che teneva da anni una rubrica su una nota rivista, mi confidò di ricevere settimanalmente decine di lettere, ma non gli era mai capitato di leggerne una in cui gli si domandava se fosse felice. La ragione è semplice. Il mio collega è un professionista assai stimato, un’icona di saggezza e competenza a cui viene accreditata una capacità di saper vivere superiore a quella del comune cittadino. E se tale fama dovesse franare sotto il peso dell’ammissione piú inquietante – quella di essere infelice e di non saper come fare per smettere di esserlo – cosa dovrebbe pensare della propria quotidianità chi non gode degli stessi strumenti culturali e della stessa, supposta, saggezza? Paventandone la risposta avversa, i lettori hanno evitato la domanda fondamentale: chi dispensa consigli e chiavi di lettura dell’altrui disagio, può affermare di conoscere la felicità?
Guardati attorno: non vedi quante persone tristi girano per le strade, frequentano uffici, affollano metropolitane, siedono ai ristoranti, prendono un caffè al bar? Non pensare che sia soltanto l’attuale – e per molti versi atroce – crisi economica ad aver avvelenato il loro spirito, a farle alzare la mattina senza piglio, senza progetto, senza voglia di costruire un’impresa e nemmeno di coccolare un sogno. Gran parte della gente, soprattutto nell’Occidente smaccatamente privilegiato, è stata educata alla tristezza piuttosto che alla felicità.
Ti sembrerà strano che il nostro universo giri cosí, ma per molti lagnarsi e piangersi addosso è ormai un’abitudine, figlia di un atteggiamento atavico al quale sono profondamente affezionati. Non è un vezzo contemporaneo: rappresenta ciò che alcuni di noi sanno fare meglio e piú di frequente, proprio perché sono stati cresciuti «tarati» sulla tristezza. Ho voluto scrivere questo libro non solo per spiegare il perché di tale bizzarro comportamento umano, ma soprattutto per dimostrare l’assoluta necessità di una piccola rivoluzione quotidiana che inizia ponendo la felicità come vero obiettivo della crescita di un bambino e di un giovane, cosí come di ciascun cittadino del pianeta. Se ogni genitore, ogni educatore, ogni adulto responsabile fosse consapevole che questo è il suo compito primario, l’esistenza non comprenderebbe piú rimpianti, aggressività, guerre e massacri, egoismi e crudeltà. La piccola rivoluzione di cui vorrei parlare si riferisce alla felicità autentica, non alla gioia effimera di un istante. Felicità in quanto anelito, speranza, obiettivo, sogno, sete, desiderio, possibilità. Un sentimento meraviglioso che implica la positività, la forza e il coraggio per affrontare la vita in tutte le sue pieghe e sfumature, comprese quelle che sanno di amarezza e di dolore. Se riuscissero a confrontarsi su questa grammatica quotidiana, gli esseri umani crescerebbero piú forti e meno ricattabili, e i giovani diventerebbero degli adulti immensamente piú capaci di difendere la propria dignità e la propria libertà. Il resto è una triste e noiosa regola che porta a un’insana, infruttifera sopravvivenza. La felicità è come un treno senza orario: ne passa uno ogni tanto. Non puoi prevederne l’arrivo, né sapere quando ripartirà. Il tuo compito è andare in stazione. La felicità è una certezza posata su fondamenta invisibili. Per questo devi continuare a cercarla, e appena penserai di averla raggiunta, già sarà sfumata e dovrai inseguire la prossima. Non arrenderti mai all’idea che la felicità non possa esserci per te da qualche parte, nel mondo. Non farlo neppure l’ultimo giorno della tua vita, perché ci sarà sempre, vicino a te, qualcuno che avrà bisogno di intravederla nei tuoi occhi.
© 2013 Giulio Einaudi
editore s.p.a., Torino
Per gentile concessione
Luigi Bernabò Associate srl
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova