«L’odissea per noi transessuali»

Il Centro regionale per i disturbi dell’identità di genere è stato istituito da più di due anni, eppure in Azienda ospedaliera non è iniziata alcuna attività. Per i transessuali veneti non esiste un punto di riferimento. Lo conferma Paola, 75 anni, che racconta l’odissea affrontata per far valere i suoi diritti. Nonostante la delibera 2707 di fine 2014 preveda la realizzazione di un hub in via Giustiniani, le persone che desiderano cambiare sesso sono ancora costrette a rivolgersi a centri esterni. C’è chi va all’estero, arrivando a spendere decine di migliaia di euro, e chi si fa operare in Italia, rischiando di fare i conti con risultati disastrosi.
«Ho sempre desiderato sottopormi all’intervento per il cambio di sesso, ma non sono riuscita a causa di problemi economici e personali», spiega Paola. «Ad oggi, di fronte alla mia età avanzata, la scelta non è facile perché i rischi si sono triplicati. All’ospedale di Padova, non sapendo gestire la cosa, mi hanno invitata a rivolgermi a un centro privato».
Nel frattempo Paola, pur non essendo entrata in sala operatoria, è riuscita a ottenere il cambio di sesso all’anagrafe attraverso una recente sentenza del Tribunale di Padova. La causa è stata portata avanti dall’avvocato civilista Alessandra Gracis, legale che ha affrontato a sua volta il cambiamento di sesso. «È stato difficile, non sapevo a chi rivolgermi», aggiunge Paola, «ma il desiderio di essere quello che sono era talmente forte che ho sopportato tutto: altrimenti sarei stato un uomo infelice. Allora ho preferito essere una donna, magari in difficoltà, ma pur sempre una donna. Ora penso alle persone che stanno iniziando questo percorso e non sanno dove sbattere la testa. Con il cambio di sesso sui documenti ho ottenuto una bella soddisfazione, ma la mia battaglia è durata anni. Ho dovuto affrontare visite psicologiche, psichiatriche e non solo: tutto per dimostrare che ero convinta e consapevole. È grave che in Veneto non esista una struttura per l’aiuto alle persone transessuali».
Sulla carta, il centro previsto in Azienda ospedaliera è incardinato nel reparto di Urologia. «Il bisturi in Italia fa paura, molti medici non hanno sufficiente esperienza», afferma da parte sua l’avvocato Alessandra Gracis. «La sanità veneta, nonostante vanti diverse eccellenze, non si è mai avventurata nello studiare e eseguire una sola operazione di cambio di sesso. Già nel 1993, una legge regionale prospettava l’individuazione di poli ospedalieri dedicati. Alla fine del 2014 la giunta Zaia ha istituito il centro padovano, il problema è che nessuno sa che esiste. È necessario trovare una figura professionale esperta per organizzare un servizio del genere: non ci si può certo improvvisare. Una soluzione potrebbe essere quella di chiamare un grande chirurgo dall’estero», suggerisce il legale. «In Italia vengono eseguiti circa cinquanta interventi all’anno, i costi per il sistema sanitario sono alti e i risultati sono fallimentari. Il centro padovano potrebbe dare una risposta ai bisogni di tutta Italia e diventare un’eccellenza anche in questo ambito».
Nelle scorse settimane si è tenuto un incontro nella direzione dell’Azienda ospedaliera per stabilire il futuro del centro. Oltre all’avvocato Gracis hanno partecipato il direttore generale Luciano Flor, il manager della sanità della Regione Veneto Domenico Mantoan e il responsabile del centro per i disturbi dell’identità di genere, Filiberto Zattoni.
Elisa Fais
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