Magazzini pieni e incassi azzerati. Il comparto moda padovano conta già i danni

PADOVA. C’era una volta la solidarietà, poi venne spazzata via dalla pandemia Covid-19. Inizia così la drammatica storia del comparto moda in città. A raccontarla è Riccardo Capitanio, referente del settore per Ascom Confesercenti: «La situazione generale per i negozi che vendono abbigliamento e scarpe e di gran lunga peggiore dell’anno scorso», spiega.
«La riconfermata zona rossa non fa che sottolinearlo. Se nel primo lockdown infatti abbiamo potuto contare sulla solidarietà imprenditoriale delle case madri, adesso non è più così». Cosa significa? «Che l’anno scorso avevamo i magazzini stracolmi della stagione primaverile 2020, che naturalmente avevamo acquistato l’inverno precedente e le case produttrici non ci hanno pressato né con i pagamenti, né con l’urgenza di venderci nuovi assortimenti. Oggi invece è tutto il contrario: pretendono il saldo e soprattutto spingono perché si acquisti materiale nuovo».
E così gli imprenditori del commercio si trovano tra l’incudine e il martello: hanno da una parte scorte invendute di capi che la scorsa primavera non hanno nemmeno vestito i manichini delle vetrine e, allo stesso tempo, devono acquistare nuove collezioni. «I produttori vogliono consegnarci nuova merce da vendere», scandisce Capitanio, «ma noi non vogliamo niente perché abbiamo i magazzini pieni. Tanto più che gli ordini li abbiamo fatti la scorsa estate, quando pensavamo che l’emergenza sanitaria fosse quasi passata. Tuttavia per un obbligo commerciale devi comprare comunque un po’ di nuova collezione». Insomma oggi c’è un solo comando: mors tua, vita mea.
Ma non è finita. Anche su un altro fronte, quello dei proprietari dei locali, la solidarietà non c’è più: «A marzo dell’anno corso», aggiunge il referente Ascom, «i proprietari si sono dimostrati in gran parte disponibili, ci sono venuti incontro con riduzioni importanti delle mensilità o, addirittura, aspettando pazientemente tempi migliori. Mentre oggi buona parte non mostra nessuna sensibilità».
E considerando che l’80% dei negozi è di persone fisiche e non di società, la situazione rischia di essere esplosiva: «Parliamo di superfici fino a 100-200 metri quadrati», spiega Capitanio, «che appartengono a famiglie, per alcuni sono reddito esclusivo, per altre – la maggior parte – arricchiscono il proprio introito. Paradossalmente i debiti in termini di affitto delle grandi catene di abbigliamento, che fanno capo a fondi d’investimento, sono stati gestiti più generosamente che le locazioni dei privati, che non sembrano rendersi conto del dramma imprenditoriale che stiamo vivendo».
Qualche vittima eccellente c’è già stata: ha chiuso Massimo Dutti sul liston, poi La Civetta in piazza dei Signori e infine La Perla in via San Fermo. «Ed è solo l’inizio», è sicuro Capitanio. «Sono molto preoccupato per i piccoli imprenditori che rischiano di mangiarsi la casa se chiudono: basti pensare che la maggior parte dei fidi mancati sono legati ad un immobile, non all’attività: l’imprenditore mette la propria casa a garanzia della propria azienda».
Intanto la perdita media del 70% per i mille negozi di abbigliamento padovani non accenna a migliorare: «Come Federazione Moda abbiamo chiesto un credito d’imposta sul magazzino», chiosa Capitanio, «ovvero, immaginiamo che un negoziante abbia 100 mila euro di merce in magazzino, chiediamo un credito d’imposta del 33% per avere un reale aiuto nell’affrontare questa terza ondata Covid». —
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