Mangone si “candida” a diventare pentito Ma la Procura non ci crede

SALMASO.CONFERENZA STAMPA GS GALLIERA.BOLOGNINO SERGIO.
SALMASO.CONFERENZA STAMPA GS GALLIERA.BOLOGNINO SERGIO.

Si è candidato a fare il collaboratore di giustizia il picchiatore del clan ’ndranghetista Antonio Genesio Mangone, 55enne calabrese con residenza a Legnaro alle porte di Padova. Ecco perché ieri, al termine dell’ennesima udienza nel processo “padovano” al clan Bolognino noto come “operazione Camaleonte” (longa manus in terra veneta del clan Grande Aracri già protagonista del processo Aemilia), il suo difensore ha chiesto la revoca della misura cautelare o almeno una modifica.

Aspirante collaboratore

«Il 4 maggio scorso il mio assistito ha predisposto un memoriale trasmesso al gip veneziano. È indicata la sua richiesta di collaborazione e ora ha timori per sé» ha osservato il difensore, l’avvocato Francesco Coruzzi di Parma, «Vista la dissociazione dimostrata dall’associazione di tipo mafioso, ritengo siano venute meno le esigenze cautelari». Insomma, merita la scarcerazione o una misura più lieve Mangone, detenuto nel carcere di Civitacvecchia e in videocollegamento. Come l’altro coimputato eccellente Sergio Bolognino, il boss con quartier generale a Tezze sul Brenta, al vertice dell’articolazione veneto-emiliana del clan Grande Aracri . Il tribunale (presidente Marina Ventura) si è riservato in merito alla decisione; tuttavia la pm Paola Tonini della Dda veneziana (la procura antimafia) è stata chiara. E ha espresso parere contrario: «Mangone? Ha sempre escluso la propria responsabilità». Insomma, visto che ha negato di far parte dell’organizzazione ’ndranghetista, finora non è mai stato preso in considerazione come collaboratore di giustizia.

Il ritratto del picchiatore

Alla faccia della collaborazione, il ritratto emerso in aula di Mangone è quella di un violento, nel privato come nella “professione”, quello di riscossore dei prestiti usurari per conto del clan. Ercole Mazzetto, 55enne piccolo imprenditore di Noventa Vicentina con qualche difficoltà economica, era anche lui “agli ordini” di Mangone (è indagato per false fatturazioni). «Lo accompagnavo spesso e ho assistito a varie sue telefonate con i creditori-... Per intimorirli diceva frasi come “ ti rompo le gambe... Ti cavo gli occhi... Ti inc... la moglie... Ti sc... le figlie... Ti mangio il cuore o te lo strappo”. Erano sempre dette in modo minaccioso e non scherzoso, impaurivano gli interlocutori». Con lui Mangone sfoggiava un coltello, “lo spadino” che diceva di tenere sempre con sé.E spiegava che non si può regalare «ma deve sempre essere comprato da un altro calabrese per una cifra simbolica». Di più, il 55enne si vantava di essere “il numero uno” nelle intimidazioni, ha fatto capire il testimone che ha raccontato pure il capitolo “Mangone e le donne”. Le tre compagne (tra cui una russa) erano state tutte pestate tra le pareti domestiche e venivano chiuse a casa dall’uomo, ossessionato dalla gelosia. L’ultima della serie aveva tentato anche il suicidio: anziché chiamare il 118, Mangone aveva fatto intervenire Mazzetto per trasferirla in ospedale. L’ombra di Mangone ha aleggiato per almeno un triennio sulla relazione (durata dal 2009 al 2015) fra Leonardo Lovo (imprenditore di San Giorgio delle Pertiche prima vittima poi indagato nell’ambito dell’inchiesta Camaleonte) come ha raccontato in aula l’ex compagna del padovano, Michela 34enne veneziana: «Leonardo mi disse che si era indebitato con le persone sbagliate. Un giorno vennero a cercarlo nell’azienda di famiglia dove lavoro due bruttissime persone trascurate e senza denti, facevano paura... Mangone? Lo incontrammo un giorno quando eravamo in un locale di Noventa per un aperitivo. Era una coincidenza strana: Leonardo si sentiva perseguitato da lui, anche se aveva saldato tutti i debiti». Di nuovo in aula il 2 ottobre: il pm ha chiamato a deporre Michele Bolognino, fratello dell’imputato Sergio e, a sua volta, imputato nel filone veneziano e il pentito della cosca Giuseppe Giglio.



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