Marotto: «Ho trovato tutto fuori regola»

Il neopresidente: «Fiducioso che parte dei soldi rientreranno. Io resto fino a quando non verrà fatta chiarezza»
+di Cristina Genesin
BELLUCO AMMANCO CASSA PEOTA ALBIGNESEGO l'ex presidente
BELLUCO AMMANCO CASSA PEOTA ALBIGNESEGO l'ex presidente

ALBIGNASEGO. Non ci sta a passare per ladro il neopresidente della cassa peota “Buoni amici” Mauro Marotto. O, peggio ancora, ad assumere la veste di “regista” di chissà quale raggiro, proprio lui che, oltre a essere uno dei tanti soci con un risparmio investito di 69 mila euro (coperti solo al 24% della liquidazione annuale quest’anno disponibile), ha assunto l’incarico lo scorso settembre quando il bubbone era ormai scoppiato, l’ammanco risultava una voragine e la contabilità un ammasso di carte senza alcun rispetto per le regole imposte dal Tub (Testo unico bancario). Così, nello studio del legale di fiducia (il penalista Ernesto De Toni), ha deciso di raccontare come mai si è ritrovato in mezzo a questa storia, già finita in procura dove è stata aperta un’inchiesta sul tavolo del pm Orietta Canova.

Signor Marotto, che cosa c’entra in questa vicenda della cassa peota “Buoni amici”?

«Sono un imprenditore (titolare della Emmeti Home srl di Albignasego) e nell’aprile scorso il presidente della cassa Elia Simonato, che conosco da tanti anni, mi ha chiesto un consiglio di fronte alla convocazione della Guardia di Finanza (era stato presentato un esposto per appropriazione indebita). Ho dato un’occhiata alla contabilità della cassa peota e ho trovato una situazione a dir poco ingarbugliata. Tutto era fuori regola, da sempre gestito sulla base della fiducia: mai convocata un’assemblea, mai sottoposti all’approvazione dei soci i rendiconti annuali, i prestiti concessi andavano ben oltre i limiti previsti. Insomma non c’era trasparenza nella gestione che deve rispettare le norme previste dal Tub, il Testo unico bancario. Non si può governare una cassa peota in un bar come cinquant’anni fa».

E allora?

«Prima mi sono limitato a fornire dei consigli vista la mia professione di imprenditore, indicando un commercialista-tributarista dal quale Simonato si è fatto accompagnare per affrontare il colloquio con le Fiamme Gialle. Solo il 16 settembre, di fronte alle “dimissioni” di Simonato, ho accettato l’incarico di presidente con riserva di poter svolgere tutti gli adempimenti fiscali e contabili imposti dalla legge. Così ho provveduto a regolarizzare la situazione con l’iscrizione all’Agenzia delle Entrare, a creare la partita Iva, a nominare una società di revisione contabile (Natix Advisor Limited di Brescia). Poi ho scoperto altro: che non erano mai state svolte le assemblee dei soci e che gli iscritti erano ben 300, un centinaio in più del limite di 200».

E si è scoperto l’ammanco. A quanto si si attesta e che cosa lo ha provocato? Qualcuno si è intascato i soldi o c’è dell’altro?

«Non è ancora stato quantificato: penso che ammonti a 140, forse 150 mila euro. Credo si tratti per lo più di prestiti erogati e mai rientrati. Prestiti che non avevano senso, concessi a soci, e non solo, fino a 30, 40 mila euro, mentre lo statuto prevede prestiti annuali al massimo di 2 mila e 500 euro con garante perché la cassa peota è un’associazione senza scopo di lucro».

Perché è diventato presidente?

«Simonato si è “dimesso”, alcuni soci mi hanno proposto di prendere in mano la situazione: anch’io ho un risparmio di 69 mila euro. Purtroppo ho potuto analizzare solo fotocopie della contabilità perché la vecchia gestione non mi ha consegnato altro: si tratta di pratiche girate da Simonato ad alcuni legali per tentare di recuperare le somme che non rientravano. Non mi ha nemmeno fornito i documenti indispensabili per censire i soci visto che ogni versamento dev’essere comunicato all’Agenzia delle Entrate. Tutta la documentazione l’ho data ai carabinieri e mi risulta già in procura».

Ogni fine anno la cassa peota restituisce i risparmi con gli interessi: che cosa è accaduto l’altro giorno quando sono intervenuti i carabinieri al bar Centrale in via Roma?

«La società di revisione contabile ha fatto un bilancio e quantificato la liquidazione nel 24% dell’importo versato: mi sono presentato con gli assegni chiusi nelle buste e la relazione dei revisori timbrata. La gente era inferocita. Cerco di agire nell’interesse di tutti: resto finché la situazione non sarà chiarita e sono fiducioso che una parte dei soldi possano rientrare. Anch’io sono un socio, ripeto, e ho dei risparmi».

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