«Marta Cimento morta per errori dei medici»

Il consulente dell'accusa al processo per il decesso della giovane psicologa
LA VITTIMA. Marta Cimento
LA VITTIMA. Marta Cimento
 Omissioni, negligenze, incapacità di «leggere» una serie di sintomi. Ecco perché è morta, a soli 31 anni, la psicologa Marta Cimento, passata nell'arco di appena tre giorni per le mani di ben sette medici, quattro del Pronto soccorso e tre specialisti in Ortopedia e Radiologia, tutti in servizio nell'Azienda ospedaliera. È il quadro tracciato ieri dal professor Vittorio Tagliaro dell'Università di Verona, consulente del pubblico ministero Federica Baccaglini. Non ha usato mezzi termini il medico davanti al giudice Cristina Cavaggion e - assistiti dai legali Marina Infantolino e Stefano Bonomo - ai genitori Celestino e Ada Cimento che non mancano un'udienza dopo aver perso quell'unica amatissima figlia. Certo, ha ammesso Tagliaro, la malattia che ha ucciso Marta (un'infezione denominata fascite necrotizzante) è misconosciuta e i sintomi sono aspecifici; tuttavia «qualsiasi patologia va collocata nell'ambito di un distretto sintomatico e va indagata... È stata fatta una valutazione erronea dei sintomi che non sono stati inquadrati dal punto di vista medico». Marta, vicepresidente dell'Opera Nomadi, si era presentata al Pronto soccorso il 3 gennaio 2008 lamentando dolori al braccio e alla spalla, a suo dire conseguenza di un incidente stradale accadutole nei giorni precedenti. All'ospedale era tornata il 5 gennaio, in ambulanza, con febbre alta che aveva fatto pensare a una sindrome influenzale. «Ma non c'erano segni di faringiti o laringiti - ha precisato Tagliaro - Non si è riusciti a riconnettere i sintomi fra loro nella direzione corretta... C'è stata una parcellizzazione della semeiotica». E così sono sfuggiti ai medici i «messaggi» che il corpo di Marta lanciava. Il professor Tagliaro ha pure denunciato l'omessa individuazione di una flogosi ascellare di natura infettiva: «Quei segni dovevano essere rilevati». Morta per uno shock settico, Marta avrebbe potuto essere salvata da un'adeguata terapia antibiotica se la patologia fosse stata identificata in tempo. E invece «ci fu l'omissione del controllo clinico della paziente». Sul banco degli imputati Mechthilde Adam, Maria Bianchini, Giulia Castiglione e Alberto Dall'Antonia del Pronto soccorso; i radiologi Federico Angelini e Alberto Lauro con l'ortopedico Andrea Borgo. Intanto tra gli atti del processo è stata inserita una lettera firmata dal direttore generale dell'Azienda ospedaliera Cestrone nella quale si spiega come, per errore, la relazione del professor Giampiero Giron, che ipotizzava negligenze mediche, non sia mai arrivata alla direttrice sanitaria Benini. Finita sul tavolo del suo successore, sarebbe stata dimenticata. (c.g.)

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