Mattia che cambia il mondo: «Ma una persona alla volta»

Padova capitale del volontariato europeo. A 23 anni ne ha già sette di servizio alle spalle con la Comunità di Sant’Egidio: «Gli anziani sono una scuola d’amore. E da grande mi occuperò di disabili»

PADOVA. A vent’anni si può sognare in grande. E cambiare il mondo, renderlo migliore, è un desiderio legittimo. Ma sette anni di volontariato vissuti intensamente hanno regalato a Mattia la saggezza dei grandi: «Cambiare le cose è possibile, ma io ho capito che serve prima di tutto l’impegno personale. E io posso aiutare una persona alla volta. Ogni persona che sta meglio per me significa un pezzettino di città che ha fatto un progresso».

Mattia Donati, studente di Psicologia, di persone ne ha già aiutato tante con la Comunità di Sant’Egidio, prima a Trieste, città in cui è nato e cresciuto, e da qualche anno a Padova, dove studia e dove vive con Salif, un ragazzo di 27 anni del Mali conosciuto proprio durante il servizio.



«Ero in seconda superiore quando il prof di religione ci ha proposto di fare qualcosa per gli altri». Si comincia così, molto spesso, un po’ per gioco, un po’ per sfida. «C’era, a portata di mano, la Scuola della Pace della Sant’Egidio. Ho cominciato lì, seguendo i bambini dei quartieri popolari, nel doposcuola», racconta Mattia. «Erano quasi tutti originari dell’Est Europa, con situazioni familiari complesse». Eppure la fatica non ha spento quello slancio quasi spontaneo. «E quando ho dovuto decidere a quale facoltà iscrivermi», aggiunge, «ho pensato a Psicologia, proprio per essere più bravo a rendere sereni i bambini».

A Padova, Mattia è ripartito proprio dalla Scuola della Pace. Ma ben presto ha allargato il raggio del suo servizio. «Al tempo arrivavano i profughi e venivano messi alla Prandina», prosegue. «Ho cominciato a incontrarli e ho sperimentato un servizio diverso. È stato anche un modo di guardare la città con occhi nuovi, di capire cosa è la povertà, di collegarmi con il mondo attraverso le storie di chi era arrivato a Padova seguendo percorsi dolorosi. E mi sono trovato a mio agio, nonostante le loro storie di sofferenza». Lì è nata l’amicizia con Salif, un ragazzo del Mali che oggi ha 27 anni e con il quale Mattia divide il suo appartamento da studente. «Lui, ma anche altri ragazzi usciti dalla Prandina, oggi sono volontari come noi», racconta Mattia. «Vanno a fare servizio con i senza dimora, portano loro panini e tè».



«Con i profughi ho cominciato a capire che siamo tutti fratelli e che non ci si salva da soli». Mattia l’ha capito anche andando in Africa, due volte, con il progetto “Dream”. «Accompagnavo i bambini a fare il test Hiv. E lì più che mai mi è stato chiaro che non si può pensare di vivere bene sapendo che altrove ci sono bambini che muoiono per una malattia anche banale». Ma dopo l’esperienza con i rifugiati, il campo di azione di Mattia si è allargato ancora.

«Con la comunità abbiamo cominciato a occuparci degli anziani del Configliachi. E dopo i primi incontri, mi sono entrati nel cuore. Ho trovato in loro tanta solitudine e anche l’incredulità genuina di chi non si spiega perché viene in qualche modo abbandonato. Gli anziani sono una scuola d’amore, sono i più indifesi. Non hanno la rabbia dei senzatetto, non hanno le risorse dei rifugiati che sanno arrangiarsi, loro hanno bisogno d’aiuto e basta. E infatti io sono preoccupato per Ermenegilda, la mia amica-nonna, che non posso incontrare in questo periodo». Il servizio con gli anziani, proprio per la sua valenza educativa, è quello che la Sant’Egidio propone agli studenti delle scuole superiori. «Per gli universitari, invece, è più adatto il servizio con i rifugiati. È anche un modo di vivere la città in un modo diverso, di uscire dai soliti percorsi, di aprirsi a conoscenze nuove».



Non serve un’iscrizione e non bisogna neppure essere credenti, per cominciare. «Serve disponibilità di cuore», dice Mattia.

«È una questione di fratellanza. Io sono cresciuto in una comunità parrocchiale, ma a un certo punto ho avuto i miei dubbi. Ma alla Sant’Egidio non partiamo dal Vangelo, si inizia dal fare. E poi ci si scopre vicini al Vangelo. Portiamo amore dove non c’è e questo, alla fine, è il compito di un cristiano». Non è facile, richiede sacrificio, bisogna superare paure.

«Ma la ricompensa è grande: chi si sente amato, lo vedo con i rifugiati, poi restituisce amore. In cambio si ottiene bellezza». A Mattia si illuminano gli occhi. «So che è quello che farò per tutta la mia vita. Non sempre sarà possibile coniugare lavoro e volontariato, perciò ho deciso: voglio specializzarmi nell’assistenza ai disabili, sogno di diventare un bravo operatore, umano. E avrò un rapporto personale con i miei assistiti, sto già facendo un progetto che metta insieme efficienza e qualità». —
 

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