Mazzola e Giralucci, l’agente Niedda, il sequestro Dozier

Parte da Padova la lunga scia rossa con la quale le Brigate Rosse hanno insanguinato l’Italia. E parte il 17 giugno 1974, alle 9.30, quando cinque uomini salgono nella sede del Movimento Sociale in via Zabarella; dentro ci sono due militanti: Giuseppe Mazzola, carabiniere in congedo, 60 anni e Graziano Giralucci, 30 anni, agente di commercio, rugbista del Cus, padre di una piccolina di tre anni, Silvia. Entrambi cadono sotto i colpi di pistole con silenziatore. Il giorno dopo, la rivendicazione telefonica e due volantini in altrettante cabine, una a Milano e una a Padova. E’ il primo omicidio delle Br. Furono condannati in via definitiva gli esecutori materiali (Ronconi, Semeria, Ognibene e Serafini; il quinto, Pelli era nel frattempo morto) e per concorso anche Curcio, Moretti e Franceschini.
Un anno dopo. E’ il 4 settembre 1975. Sono le 9.30 del mattino: Antonio Niedda, 44 anni e Armando Dalla Pozza, due agenti di polizia, sono in servizio in via delle Ceramiche a Ponte di Brenta. Fermano una Fiat 128 bianca per un controllo: in auto ci sono due ragazzi, uno dei quali si chiama Carlo Picchiura. Ha 25 anni, è militante delle Br e ha una pistola in tasca. Spara cinque colpi. Niedda muore, colpito alla gola; il suo collega riesce a salvarsi. Picchiura nel 1977 è stato condannato a 26 anni di reclusione dalla Corte di Assise. Uscito dopo 20 anni di carcere, è morto nel 2013.
Sei anni dopo, 17 dicembre 1981. Sono le 18 quando un commando di quattro persone (Antonio Savasta, Pietro Vanzi, Cesare Di Lenardo e Barbara Balzerani, travestiti da idraulici) rapisce, nella sua casa di Verona, il generale James Lee Dozier, 50 anni, comandante della Nato nell'Europa meridionale. Fu liberato a Padova il 28 gennaio 1982, dai Nocs: era stato tenuto prigioniero a Padova, in un appartamento del palazzone in via Pindemonte alla Guizza. I cinque carcerieri sono portati fuori ammanettati. Ci sono tre dei brigatisti che hanno sequestrato Dozier: Antonio Savasta, Emilia Libera e Cesare Di Lenardo più Giovanni Ciucci e la proprietaria dell’appartamento, Emanuela Frascella, giovanissima studentessa padovana: tutti condannati. Savasta collaborò e, dal 1992 in libertà, vive con una nuova identità.
Alberta Pierobon
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