MICROSTORIE / La cena al buio: in 38 a sperimentare e pasticciare

PADOVA. Buio pesto. Trentotto commensali riempiono il Daltrocanto in via Cristofori 12, ristorante a vocazione sociale e solidale gestito dalla onlus Angoli di mondo.
Entrano tutti e 38 in fila indiana, ognuno con una mano sulla spalla dell'altro, guidati dai due organizzatori della cena, al buio appunto: Marta Telatin, 31 anni, padovana, sociologa e poetessa e Felice Tagliaferri, bolognese, scultore e molto d'altro. Per loro due il buio pesto è luogo familiare, ci si muovono da quando erano piccoli. Per loro due, persone speciali e mica poco, quel buio è luogo che emana luce, idee, proposte in uno straordinario macinamento di concrete attività. E crea rete. Giusto per intendersi con qualche esempio: Marta tiene corsi di scrittura in carcere, laboratori per sviluppare l'uso dei sensi, e gira come una trottola a presentare il suo ultimo libro di poesie (“Il lupo e la luna”); a Roma, tra il pubblico, c'era Erri de Luca, interessato e curioso. Sono diventati amici.
Felice, che per inciso avrà un suo spazio espositivo all'Expò Milano 2015, è appena partito per il nord dell'India dove costruirà un forno a terra in un orfanatrofio e insegnerà ai ragazzini a costruire piatti e ciotole in creta. Non solo, la prima produzione l'ha già piazzata a SlowFood che da quelle parti a breve sbarcherà nell'ambito di un festival gastronomico. Nel tempo libero fa l'attore: ha appena interpretato per l'amico Silvio Soldini il film documentario “Per altri occhi”.
Tornando alla cena padovana (organizzata a 35 euro l'uno per finanziare il progetto di Marta in carcere). Buio pesto. I 38 vengono accompagnati ognuno alla propria sedia, attorno a due lunghi tavoli (ma questo si capirà dopo, ché solo con il caffè si sono accese le luci) e Felice a dare le istruzioni del caso. Esempio: come riempirsi il bicchiere senza trasformare la tovaglia in una risaia: dito dentro il bicchiere onde sentire il livello del liquido, altro dito sull'imboccatura della bottiglia per capire se e quanto ne esce. Qualcuno riesce, gli imbranati pasticciano, i furbi bevono a canna. Tanto, chi li vede? Felice spiega che, al buio, i vedenti tendono a parlare a voce alta nella speranza di tener avvinto l'interlocutore, anche se stanno parlando con una colonna.
E infatti, tempo dieci minuti, la sala diventa una babele berciante, tutti a gridare anche le più normali frasi. «Come ti chiami? Tu come mai sei venuto qui?»: i primi timidi approcci con i vicini di posto, al buio, fanno sussultate i sismografi di mezza provincia. Risultato, un'ubriacatura dodecafonica di voci. Il tutto si sopisce con l'arrivo di antipasti, risotto e di un delizioso piatto di verdure con un soufflé al quale ognuno attribuisce ingredienti diversi.
E' Felice a transitare i piatti. Felice, che ha subito memorizzato un tot di nomi dei presenti collegandoli ai posti che occupano, chiama: «Luisa, allunga le braccia», Luisa le allunga alla cieca e si ritrova il piatto in mano. Poi «la persona alla destra di Luisa allunghi le braccia», altro piatto dato. E via. La cena scorre, le persone chiacchierano ed entrano in confidenza con rapidità anche perché è tutto un toccarsi le mani, le spalle, le braccia e chissà, che il buio mantiene i suoi segreti.
C'è Antonio arrivato da Schio per curiosità, c'è la coppia lui informatico lei psicologa, c'è il gruppetto di amici e ci sono gli amici di Marta. Arriva il caffè e si accendono le luci, un po' alla volta. E tutti a guardarsi. Scoprendo magari che quella mano magrissima, quella voce sottile e quello humor originale non erano della trentenne immaginata per tutta la cena ma di una donna sui sessanta, divertita e divertente, che di magro ha giusto le mani. “Daltrocanto”, si sa, le cose più vere non sono quelle che saltano agli occhi.
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