Mion: «I Benetton e Del Vecchio? Scelta obbligata trovare altri soci»

PADOVA. Gianni Mion ha seguito la grande operazione Atlantia-Abertis fin dal 2006. «Il mio cuore sanguina ancora» ammette a poche ore dall’offerta dei Benetton al colosso delle autostrade spagnolo. Che ruolo ha avuto in questo ritorno di fiamma? «Nessuno». Neanche un consiglio, dottor Mion? «Fabio Cerchiai e Giovanni Castellucci (presidente e ad di Atlantia, ndr) sanno bene come la penso, ne abbiamo parlato mille volte» risponde il manager, oggi presidente della Popolare di Vicenza, che si è congedato dalla famiglia Benetton dopo 30 anni, a fine 2016. Per lui si sono appena aperte le porte del board del nascente colosso dell’occhialeria Essilor-Luxottica. Al fianco dell’amico imprenditore: Leonardo Del Vecchio.
Presidente Mion, se le chiedessi di mettere a confronto le due diverse storie e due grandi imprenditori come Gilberto Benetton e Del Vecchio?
«Ho avuto la fortuna di passare con tutti e due momenti particolari: entrambi, nel 1994, erano l’espressione di un Nordest nascosto che timidamente si affacciava sulla scena nazionale accanto a grandi nomi come Zanussi e Marzotto. Hanno partecipato entrambi alla privatizzazione di Sme-Autogrill, poi hanno preso strade diverse. Del Vecchio ha investito sulla sua attività facendola diventare la più grande azienda mondiale del settore per retail e industria, i Benetton sono entrati nelle infrastrutture e concessioni grazie alla privatizzazione delle autostrade. Ma la loro attività principale era tessile, quindi si è operato molto per la diversificazione. Questa è la differenza ma li accomuna la grande propensione al rischio, alla crescita e l’internazionalizzazione».
Entrambi hanno trovato la chiave per assicurare un futuro alle aziende oltre il difficile passaggio generazionale?
«Non è solo questione di passaggio generazionale: la crescita con nuovi partner è una scelta obbligata per andare avanti, l’alternativa è l’Ipo. Il problema in Italia è che le aziende non crescono per l’ossessione del controllo al 100%. Cercare soci, a un certo punto, è fisiologico».
I Benetton adesso faranno “solo” gli azionisti?
«Fare gli azionisti è la naturale evoluzione dell’imprenditore, un mestiere difficile, specie se l’azienda è grande: l’azionista è colui che cura i rapporti con gli altri soci e affida l’azienda al management che ne interpreta le strategie. È un modo di crescere anche questo».
Queste aziende sono quindi andate oltre le famiglie?
«Luxottica diventerà Luxottica-Essilor e Atlantia sarà Atlantia con nuovi partner, sono entrambe destinate a crescere per acquisizioni nei rispettivi settori, con gestione manageriale. Un percorso inevitabile. Il Nordest si è così rivelato un modello avanzato di industrializzazione che va verso imprese sempre meno familiari».
Il suo giudizio sull'Opas?
«Una grande operazione industriale, spero sia accettata».
Si aspettava un'offerta per il 100%?
«Non è totalitaria, c'è lo scambio di azioni ma Atlantia se lo può permettere e ci sono dei soci in Abertis che vogliono rimanere. Col management di Abertis ci sono sempre stati grandi rapporti».
C'era lei nel 2006 quando lo stesso progetto naufragò...
«Tutto è bene quel che finisce bene. Oggi le due aziende si sono rafforzate e hanno rifocalizzato l’attività: Abertis si è concentrata su autostrade e Torri uscendo dal business parcheggi e Atlantia si è rafforzata sulle autostrade con una presenza importante negli aeroporti che vanno molto bene. Sarà un'azienda molto più forte di quanto poteva essere nel 2006: le due società stanno meglio di prima».
Oggi sono i Benetton a bussare alla porta di Abertis. Si è invertito il rapporto?
«Anche l’altra volta, nel 2006, l'azionista principale sarebbe stato Benetton ma c’era il nodo del trasferimento della holding per avere dei benefici ed è successo un polverone, perché si temeva che portassimo le autostrade in Spagna».
Il deal è la conferma che si può crescere solo su scala internazionale.
«L'internazionalizzazione è sempre stata il driver della famiglia Benetton che ha continuamente puntato a aumentare il peso dell'estero nelle imprese italiane, e l'ingresso di nuovi soci internazionali, come di recente si è visto con Allianz. Spero che il percorso continui».
E se Atlantia uscisse da Save?
«È interesse di tutti che Atlantia resti in Save. Le aziende aeroportuali italiane - e penso al lavoro fatto su Roma - sono migliorate come servizio, estetica ed efficienza, è un bene che Atlantia resti. L'exit sarebbe un danno e mi dispiacerebbe veder uscire i Benetton da un aeroporto prestigioso come Venezia. Spero trovino una collaborazione con il signor Marchi».
@eleonoravallin
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