Morti per amianto, risarcimento beffa

L’ex ad delle Officine Stanga Marchiorello condannato a pagare 2,7 milioni ai familiari di 18 operai. Ma risulta quasi nullatenente
PD 15 FEBBRAIO 2005 G.M...OFFICINE MECCANICHE STANGA DALL'ALTO..(SALMASO) officine stanga dall_alto (salmaso)
PD 15 FEBBRAIO 2005 G.M...OFFICINE MECCANICHE STANGA DALL'ALTO..(SALMASO) officine stanga dall_alto (salmaso)

PADOVA. Alla triste vicenda dei morti per malattie riconducibili all’amianto delle Officine Meccaniche Stanga e Cittadella si aggiunge un altro capitolo che sa di beffa. Dopo aver tentato inutilmente di ottenere giustizia chiedendo un risarcimento diretto alla Firema Trasporti Spa, che dal 1993 aveva accorpato tra le altre società anche le due storiche aziende in amministrazione controllata e svuotata di ogni capacità di rifondere le vittime, 18 familiari dei lavoratori ottengono una vittoria storica in sede civile vedendo riconosciuti in primo grado dal Tribunale di Padova oltre 2,7 milioni di risarcimenti: 154.350 euro a testa dopo aver citato in giudizio l’allora amministratore della società Dino Marchiorello, 92 anni.

Ma sarà molto improbabile che le vittime possano vedere corrisposto anche in minima parte il valore attribuito alla propria tragedia familiare. Marchiorello, infatti, già presidente della Banca Antonveneta e titolare di un patrimonio vastissimo, risultava, già all’inizio del procedimento, nel 2011, praticamente nullatenente. Attribuibile al patron della Officine Meccaniche Stanga, la cui famiglia controlla a tutt’oggi la proprietà immobiliare del Centro Ingrosso Cina di corso Stati Uniti a Padova, solo una pensione intorno ai 2.000 euro al mese e un libretto di risparmio su cui c’erano poche migliaia di euro. «Altri manager della società chiamati a rispondere hanno raggiunto accordi onorevoli con le famiglie» spiega l’avvocato Giancarlo Moro che assieme all’avvocato Francesco Rossi ha patrocinato le famiglie dei deceduti, «mentre la persona dotata dei maggiori mezzi finanziari si è sottratta a ogni risarcimento».

E solo dal 1987 al 2013 i casi accertati di mesotelioma attribuito a lavoratori delle due aziende erano 76 la maggior parte dei quali sono poi risultati fatali ai pazienti. «Complessivamente sono oltre 100 le morti per mesotelioma da amianto che abbiamo dovuto registrare - spiega Rosanna Tosato, sindacalista della Cgil di Padova e direttrice Fondazione vittime dell’amianto “Bepi Ferro”. «A queste si aggiungono i casi di ispessimenti pleurici o placche di cui sono affetti gli ex lavoratori e i loro familiari: mogli spesso, che maneggiavano le tute coperte di fibre di amianto e le scuotevano prima di lavarle, respirando dosi massicce e spesso fatali di sostanza».

Ma i testimoni di un periodo in cui la città accoglieva una grande realtà della meccanica nazionale, sono ancora presenti. «Per lo meno dagli anni Sessanta» spiega Antonio Testolina, in azienda dal 1974 al 2001, «l’isolamento dei vagoni ferroviari che realizzavamo era rigorosamente di amianto. Pareti, pavimenti e tetto della carrozza erano spruzzati di polvere di amianto e poi distribuiti a mano. Mi ricordo ancora quando la figlia di Dino, Berica, venne rapita. Tutti portammo la nostra solidarietà alla famiglia. Ora è brutto vedere la furbizia con cui questa causa è stata gestita. Ci hanno lasciato senza più nulla e senza neppure delle scuse».

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