«Nuove protesi in titanio come i cilindri Ferrari Durano fino a 15 anni»

 PADOVA.
Dal 2005 il dottor Antonio Olmeda è direttore dell'Unità Operativa di Ortopedia e Traumatologia. Si è occupato soprattutto di Oncologia ortopedica e del trattamento dei pazienti politraumatizzati.  
Ricorda tra le esperienze più recenti una situazione particolarmente difficile e un intervento particolarmente impegnativo?
 «La Tac mostra l'immagine di un massacro. Incidente sul lavoro, un carico pesante che si abbatte su un uomo: la colonna vertebrale si è rotta e uno spezzone è penetrato nel bacino danneggiando la vescica ed altri organi interni. Per pura fortuna i collegamenti nervosi hanno, in parte, tenuto e non è subentrata la paralisi. Il paziente è sopravvissuto ed è in grado di camminare: un vero e proprio miracolo. L'innesto chirurgico di protesi, la perfezione tecnologica dei materiali hanno raggiunto livelli di eccellenza. Si riesce a rimediare alla perdita di sostanza dell'osso anche quando questa è molto rilevante: su un femore che ha perso 18 centimetri, su una tibia scomposta, è possibile effettuare un lavoro di ricomposizione utilizzando protesi da grandi resezioni, innesti da cadavere oppure una combinazione di entrambe le tecniche. L'innesto massivo da cadavere risulta in alcune sedi insostituibile consentendo il reinserimento di tendini e gruppi muscolari che non potrebbero attecchire sul metallo delle protesi. A Treviso c'è la Banca dell'Osso, questi "pezzi di ricambio" congelati e poi conservati a bassa temperatura (-300, il che azzera o quasi l'azione di rigetto, già modesta nel tessuto osseo) vengono forniti anche su misura per qualche situazione particolare. Tali interventi, oltre al sapere del chirurgo ortopedico, richiedono l'apporto di numerose altre competenze. E' importante soprattutto la collaborazione con una chirurgia plastica raffinata, perché nessuno di questi interventi sostitutivi potrebbe funzionare senza la copertura con lembi vascolarizzati muscolari o cutanei».
 Quale prospettiva?
 «Tenga conto che in alcuni casi quando sia necessario riempire un vuoto osseo vengono utilizzati farmaci e procedure per stimolare la crescita ossea. Ci sono fattori di crescita come i polipeptidi che vengono estratti da cadavere oppure prodotti con la tecnica del Dna ricombinante e cellule midollari estratte dallo stesso paziente. Le cellule midollari, prelevate dall'osso iliaco sono già differenziate in senso osteogenetico e, una volta introdotte nella sede della perdita di sostanze, stimolano a produrre un osso sano. Questo avviene già, ma per aprire completamente la finestra sul futuro potremo arrivare alla ricostruzione di segmenti ossei in laboratorio a partire dalle cellule del paziente».  
Ma questa è magia! Harry Potter, il maghetto occhialuto della Rowling, durante una competizione sportiva cade dalla scopa volante e si sbriciola le ossa di un braccio. Lo guariscono con una pozione che si chiama «Osso Fast».
 «Accetto la battuta. Ma noi non abbiamo bacchette magiche, ciò che otteniamo è il risultato di un percorso di sviluppo scientifico e tecnico fatto di impegno e di sacrifici. Fin dall'inizio della mia attività mi sono occupato soprattutto di Oncologia Ortopedica e del trattamento dei politraumatizzati. In quegli anni, dal 1980 in poi, cominciavano ad affluire negli ospedali della Regione le vittime del vertiginoso aumento degli incidenti stradali e di un'attività sportiva a volte spericolata. All'inizio l'Ortopedia pediatrica era dedicata a lesioni ormai scomparse come la poliomielite e il rachitismo. L'attività protesica era già praticata ma su scala modesta e con tecnologie elementari. Sono ormai lontani i tempi in cui l'ammalato che arrivava in Ortopedia veniva ingessato e aspettava a letto, per settimane o mesi, la guarigione della frattura. La cura dei tumori, al mio arrivo in clinica era solo l'amputazione. Oggi tra le attività più comuni della nostra Unità Operativa c'è la fissazione interna delle fratture e la ricostruzione con protesi di parti anatomiche demolite da tumori o traumi».  
Com'è fatta una protesi e come funziona?
 «La parte di sostegno, l'impalcatura, è in lega di titanio, gli snodi sono fatti di polietilene o ceramica. Materiale elastico e robustissimo: titanio e ceramica, lo stesso che si usa per i cilindri delle Ferrari. Il gold standard di durata per una protesi è di 15 anni. Si tenga conto che qualsiasi impianto è soggetto ad usura. Ad un certo punto entra in crisi il rapporto tra il materiale impiantato e l'osso, si formano detriti, i liquidi biologici inducono il rilascio di ioni metallici e la protesi viene circondata da una membrana reattiva che la mobilizza. Il primo impianto ha una performance migliore del secondo che sarà necessariamente più imponente e invasivo. I problemi diventano colossali quando il paziente è giovane, capita soprattutto nell'età tra l'infanzia e l'adolescenza, dai 10 ai 14 anni. In questi casi occorre sfruttare il potenziale di crescita dell'osso, in modo che questo venga indirizzato a correggere da solo le proprie deformità. La soluzione-principe sono le protesi allungabili, attualmente allo studio ma non ancora messe in opera sono sperimentali, sperimentali, non di uso quotidiano».  
Com'è organizzata l'Unità di Ortopedia e Traumatologia?
 «E' connotata soprattutto da due elementi: l'attività chirurgica è distribuita in 3 reparti. Vi si svolgono 13 sedute operatorie la settimana: 9 alla Piastra operatoria dell'Ortopedia, 1 o 2 a quella della Chirurgia Pediatrica, 3 al Centro multidisciplinare di Day Surgery. Nel 2010 abbiamo trattato 1545 pazienti, ed eseguito 1392 interventi chirurgici (973 ad Ortopedia, 238 al Day Hospital Morgagni, 181 al reparto di Chirurgia Pediatrica). La necessità di operare in sedi diverse comporta notevoli problemi organizzativi, ma risponde all'esigenza di offrire ai pazienti la prestazione richiesta entro i termini prescritti, garantendo efficienza e sicurezza. Un'altra peculiarità è la divisione tra interventi programmati o di elezione e l'emergenza degli incidenti. Tutti i nostri medici possono essere chiamati a qualunque ora del giorno e della notte e sono preparati ad affrontare le lesioni di base della traumatologia, anche i casi estremi, così da poter rispondere alle richieste urgenti che giungono dal Pronto Soccorso ed operare i fratturati entro il termine previsto di 24 ore. Non sempre ciò è possibile, a volte si presentano patologie concomitanti (per esempio malattie cardiache). L'attesa media si attesta quindi sulle 36 ore ed è uno dei termini più bassi d'Italia».
 Ci parli delle strutture del reparto.
 «Sono stati avviati i lavori di adeguamento dell'Ortopedia ed è in fase di soluzione definitiva la sistemazione della Day Surgery. Negli anni passati sono state rifatte le sale operatorie che sono ora in possesso di uno standard molto elevato e sono state adeguate la strutture tecniche di base (gas medicali, impianto elettrico, impianti anti-incendio)».
 Qualità delle prestazioni?
 «L'Unità operativa costituisce un punto di riferimento per tutto il Veneto. Confluiscono nella struttura tutte le malattie ossee e le malformazioni dell'infanzia, i tumori ossei e delle parti molli degli arti, tutti i traumatizzati che richiedono competenze poli-specialistiche al massimo livello. L'ospedale di Padova costituisce per molti pazienti l'unica e l'ultima speranza di poter superare un trauma o un tumore con esito positivo. Ciò grazie alla presenza contemporanea di tutte le specialità e le diagnostiche necessarie 24 ore su 24. Quello di Padova è tra i primi centri pubblici in Italia in grado di realizzare la chirurgia della spalla in Day Surgery con dismissione in giornata e sono allo studio tecniche analoghe per l'anca e per la caviglia».  

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