Omicidio Guerra, il dolore della sorella: «Nemmeno un cane si uccide in questo modo»

SANT’URBANO. «Neanche un cane si ammazza così. Lo avete ucciso, lo avete ucciso». Elena Guerra è la sorella di Mauro. Riesce ad arrivare solo a qualche centinaio di metri dal corpo privo di vita del fratello. Ascolta quello che le dicono i carabinieri, poi le versioni degli amici. Chiede ai giornalisti di allontanarsi dal luogo della tragedia, invoca riservatezza e scongiura di non trasformare quanto accaduto in un macabro spettacolo. Sale in macchina e corre da un capo all’altro del quartiere, addirittura col dubbio che Mauro possa essere ancora vivo.
Poi, quando la verità è impossibile da smentire, si abbandona al pianto e a un grido di denuncia: «Nemmeno un cane si ammazza in questa maniera. Lo avete ucciso voi, vergognatevi!», urla contro i carabinieri, prima di essere calmata dall’ex comandante della stazione locale Filippo Billeci, giunto da Battaglia Terme per stare vicino alla famiglia Guerra, che conosceva bene grazie ai suoi dodici anni di servizio a Carmignano di Sant’Urbano. La sensibilità del luogotenente riesce a placare temporaneamente il dolore dei familiari.
Dopo oltre un’ora che la salma del fratello è stesa a terra sotto un lenzuolo bianco, accompagnata da alcuni parenti, Elena si incammina verso il punto della sparatoria ma viene fermata: «Non potete andare», le spiega un carabiniere. «Come no? Sono ore che mio fratello è là» ribatte lei in lacrime. «Lo ha visto prima il becchino di me».
Tra i familiari di Elena e Mauro (sentiti a lungo dai carabinieri) incomincia ad aleggiare il timore che laggiù si voglia nascondere qualcosa: «Perché non possiamo passare? E perché a fare i rilievi ci sono i carabinieri e non la polizia? Dov’è il pm? State facendo quello che volete e ci dite solo quello che volete». Qualcuno cerca il numero di un avvocato a cui rivolgersi, ma la disperazione e la confusione regnano sovrane. C’è anche chi, web e tablet alla mano, propone di contattare per una consulenza immediata l’associazione Federico Aldrovandi, nata in seguito all’uccisione del diciottenne ferrarese per mano di alcuni poliziotti, poi condannati per “eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi”. Altra storia, vero, ma l’accostamento viene quasi naturale ai presenti.
Quando il mezzo delle onoranze funebri se ne va con la salma di Mauro, la stessa Elena tenta di bloccare il camioncino, invano, nella speranza di vedere il corpo inerme del fratello. «Dovranno pur fare un autopsia! La verità verrà fuori, verranno fuori anche le botte che Mauro si è preso mentre era a terra», è il dialogo tra amici e parenti stretti della vittima. Un gruppetto di adolescenti si raduna nel vicino cuore paesano, e anche qui il sentimento che aleggia è lo stesso: «Mauro non era pericoloso. Come si fa a uccidere un ragazzo in quella maniera così brutale? Vogliamo verità, per il nostro amico».
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