Ornella racconta Hugo L’amore e il rimpianto

di Roberto Bianchin
Aveva un vezzo singolare, quel birbaccione di Hugo Pratt: quello di dare ad alcuni dei suoi personaggi immaginari il volto di persone realmente esistenti. Come nel caso di Venexiana Stevenson. O di Bocca Dorata. O di certe donne, sinuose come leopardi, di qualche tribù amazzonica: gambe lunghissime, mani affusolate, bocche carnose, profili sporgenti.
Solo adesso capiamo perché ci era sembrato che alcune di queste donne avessero il volto di Ornella Vanoni. La cantante, sì, la cantante. La rassomiglianza c’era, ma non ne eravamo sicuri. Ora lo siamo. Quelle donne, donne di Corto, Corto Maltese s’intende, erano davvero Ornella Vanoni.
Lo racconta lei stessa, in un delizioso libriccino che arriva in questi giorni in libreria, “Piccole storie di Ornella V.”, che ha scritto in punta di penna per l’editore romano Giulio Perrone: quattordici piccoli racconti che si rincorrono, esperienze a volte divertenti e altre volte grottesche, squarci onirici, talora surreali, comunque sempre molto delicati.
La sorpresa è che una di queste storie è dedicata a Hugo Pratt, il papà di Corto Maltese, l’indimenticato maestro di Malamocco. E il titolo del raccontino non lascia spazio a equivoci: “Hugo Pratt, un amore perduto”.
Comincia così, diritto come una schioppettata al cuore: «Ti penso continuamente. E ora, tra i rimpianti, mi resta la tua risata…mi ha sempre incantato la tua risata, veniva da lontano, era pacata, profonda come il ricordo di tante risate».
È una storia d’amore bruciata in pochi, brevi e fuggevoli incontri, che per vari motivi non è mai riuscita a sciogliere al vento le sue vele, quella tra il disegnatore e la cantante. Solo adesso, dice Ornella, si è decisa a mettere in cornice i disegni e gli acquerelli che Hugo le aveva fatto. «Li ho divisi in tre strisce» racconta «prima i profili a matita, poi le facce a china, poi le facce a colori, col nome, senza il nome, più bocca, più occhi e davanti agli occhi quella lieve striscia rossa che hanno spesso le tue donne, le donne di Corto». «Mi hai fatto troppo bella», scrive Ornella, rivolgendosi direttamente a Pratt, come se gli parlasse, come se lui fosse ancora qui.
Si erano conosciuti in una libreria. «Io degli occhi così non li avevo mai visti» ricorda Ornella «occhi abituati a guardare l’infinito, come quelli di Ulisse, forse. Si è mai saputo di che colore avesse gli occhi Ulisse? Sto esagerando. Morgan? Sì, come il pirata. Questi sono gli occhi di chi ha doppiato Capo Horn e ce l’ha sempre fatta, e tu mi hai detto Bocca Dorata, sei perfetta per Bocca Dorata». Ornella gli ha chiesto di disegnarle una luna. «Mi hai fatto Venezia, una gondola, la luna. Romanticamente scontato come tutto ciò che è assoluto».
Poi altri incontri. Sempre a sorpresa, «non c’erano abitudini tra noi». A Milano a un concerto, all’Excelsior del Lido, nella casa del maestro a Malamocco, a una festa su un prato. «Hugo, perché sei così grasso? Ciò, mi hai risposto, el magnar, el bever…poi mi hai detto sei stupenda, così sofisticata, con quella sensualità elegante che aveva soltanto Marlene Dietrich».
E poi il rimpianto. Per quello che poteva essere e non è stato. Per quel biglietto per Ginevra mai utilizzato. «Non riuscivo a raggiungerti, continuavo a girare intorno al problema…vieni, mi hai sempre detto, io sono qui, sei tu che sei sempre fidanzata… È inutile che me la prenda, che mi dia della cretina adesso. Prendo atto che questo è il mio grande rimpianto».
Tra alcuni giorni Ornella (che a Venezia, forse non è un caso, ha una casa segreta), canterà al Teatro Goldoni. Hugo forse non verrà stavolta. Ma non è escluso che dietro l’angolo della calle, là dove c’è l’uscita degli artisti, non la aspetti un marinaio con gli occhi da pirata.
r.bianchin@repubblica.it
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova