Padova, il Bo contro Netflix: «Documentario sulla pesca fuorviante»

PADOVA. Ricercatori e docenti contro Netflix, l’accademia contro l’infotainment. È partita dal Bo una protesta corale di 81 accademici di tutta Italia contro il documentario “Seaspiracy”, prodotto e diretto da Ali Tabrizi, disponibile da poche settimane in tutto il mondo sulla popolare piattaforma di streaming.
Il documentario racconta con grande enfasi molte delle problematiche etiche e ambientali legate al mondo della pesca: dalla caccia illegale alle specie in via di estinzione alle ben più impattanti ripercussioni della pesca industriale, ma anche la presenza di plastiche e microplastiche negli oceani, e lo sfruttamento del lavoro nei pescherecci in diverse parti del mondo.
Smettere di consumare
Secondo Tabrizi, e i molti esperti che intervengono nel documentario – che presenta sì molti dati e argomentazioni, ma che tende a stuzzicare maggiormente l’emotività dello spettatore – la soluzione a tutti questi problemi è univoca: lasciare in pace gli oceani, smettendo di consumare pesce.
Una conclusione che non convince molti esperti, a partire da Carlotta Mazzoldi, professoressa associata di Biologia marina del Bo, che assieme a Paolo Guidetti (Istituto nazionale di Biologia, ecologia e biotecnologie marine) e Marco Milazzo (Università di Palermo), ha messo insieme un documento, controfirmato da altri 78 docenti e ricercatori (31 di Padova), che raccoglie diverse contro-argomentazioni al documentario di Netflix.
«Un’informazione così parziale e incompleta rischia di far passare i messaggi sbagliati – spiega Mazzoldi – Le problematiche legate alla pesca sono sentite da me e da tutti i colleghi, visto che lavoriamo tutti nell’ambito della biologia marina. Ma non si può dire a un consumatore che non esistono alternative al rinunciare del tutto a mangiare pesce: far credere che la pesca sia solo pesca industriale, e che la componente illegale sia quella predominante, è sbagliato». Tra le obiezioni principali dei ricercatori c’è proprio il fatto che una forma di pesca artigianale, su piccola scala, esiste, ed è spesso centrale per l’alimentazione e l’economia di diverse comunità.
Approccio pragmatico
«Si tratta di avere un approccio pragmatico, ma anche etico – prosegue Mazzoldi – In molti casi non si può pensare di interrompere la pesca tout court. Ma la sostenibilità non è utopia». Uno dei punti centrali di “Seaspiracy” riguarda l’inaffidabilità delle certificazioni di sostenibilità: il documentario mostra come alcuni importanti enti, di fatto, non siano in grado di attestare l’effettiva sostenibilità del pesce che certificano.
«Le certificazioni non sono la soluzione definitiva – ammette Mazzoldi – Ma oggi ci sono davvero tanti marchi affidabili, basta informarsi. Ancora una volta, però, la cosa migliore è favorire una pesca locale, su piccola scala, avvicinando anche i consumatori alle stagionalità e ai prodotti più sostenibili rispetto ai soliti che siamo abituati a mettere nel carrello». —
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