Padova, Legambiente “raffredda” l’inceneritore: «Sì all’innovazione, no agli ampliamenti»

Il direttore Decandia: «Con 245 mila tonnellate, a Padova l’80% dei rifiuti veneti. Bisogna ridurre la potenza complessiva»
MARIAN -AGENZIA BIANCHI-PADOVA - TERMOVALORIZZATORE
MARIAN -AGENZIA BIANCHI-PADOVA - TERMOVALORIZZATORE

PADOVA. Sì all’ammodernamento, all’innovazione, in nome dell’efficienza e della riduzione dell’impatto ambientale. No all’ampliamento, alle imposizioni contro la volontà dei cittadini. Legambiente non alza le barricate contro il progetto di revamping dell’inceneritore di San Lazzaro ma chiede a Hestambiente - la società che lo gestisce per conto di Hera - un mezzo passo indietro. La quarta linea che entro il 2025 dovrebbe sostituire la 1 e la 2, vecchie e poco efficienti, non può riportare al massimo della sua potenza l’inceneritore. Perché questo farebbe di Padova un centro regionale di smaltimento dei rifiuti.

«Abbiamo bisogno di un forno che bruci 245 mila tonnellate di rifiuti all’anno in città?», si chiede il direttore di Legambiente Piero Decandia. La risposta è implicita ed è un no. Decandia spiega: «Possiamo dire di sì, ma solo se vogliamo che a Padova si bruci l’80 per cento dei rifiuti del Veneto. Ma per noi non è pensabile che dentro una città si smaltisca una quota così importante dei rifiuti di un’intera regione. Oggi l’impianto brucia 160-170 mila tonnellate all’anno (pur essendo autorizzato per 245 mila ndr), quindi la realizzazione della quarta linea si configura a tutti gli effetti come un ampliamento». Altri numeri: se tutto il Veneto fosse virtuoso nella raccolta differenziata come è la provincia di Treviso - «che è un modello riconosciuto a livello internazionale grazie al porta a porta e alla tariffazione puntuale, e a cui è giusto tendere», precisa Decandia - in regione ci sarebbero meno di 300 mila tonnellate di rifiuto secco all’anno. E Padova, con il suo inceneritore da 245 mila, ne smaltirebbe l’80 per cento». Una quota troppo alta, appunto.

Serve un mezzo passo indietro, quindi, da parte di Hera. Ma servono anche significativi passi avanti da parte dei Comuni e dei cittadini. «L’obiettivo che devono avere tutti gli amministratori, da quelli regionali colpevoli di ritardo nella redazione del nuovo piano rifiuti, a quelli locali che troppo spesso rallentano i percorsi verso il sistema porta a porta nelle città», scandisce Decandia, «deve essere quello di una drastica riduzione del rifiuto secco. E con questa prospettiva all’orizzonte, diventa necessario rivedere al ribasso la capacità dell’inceneritore rispetto a quella autorizzata e inserita nella richiesta che l’azienda ha presentato in Regione».

Legambiente non resta sul vago. «Se la potenza complessiva fosse di 150 mila tonnellate, l’impianto potrebbe smaltire i rifiuti residui della provincia di Padova, con i valori odierni», chiarisce Decandia, «e in prospettiva, grazie all’aumento della raccolta differenziata, servire anche i territori di Rovigo e Belluno. Un’autorizzazione di 200 mila tonnellate annue porterebbe a incenerire anche le quantità provenienti da tutta la provincia di Treviso».

Con una riduzione di potenza, fa capire Legambiente, può essere più facile accettare la scelta «comprensibile» di ammodernare le linee obsolete. Ma dopo la forzatura fatta da Hera, che ha presentato richiesta in Regione saltando il confronto con la città, ora si chiede all’azienda di aprire un dibattito che coinvolga tutti. E anche di valutare altri aspetti. «L’assenza del teleriscaldamento in un periodo di crisi climatica come questo», sottolinea Decandia, «è un crimine verso il pianeta. Non ci si può accontentare solo della predisposizione e sprecare enormi quantità di calore che potrebbero servire la zona industriale e il nuovo ospedale». —
 

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