Padova, uccide il rivale e brucia il cadavere

PADOVA. Gli occhi curiosi di un bambino spuntano da dietro una finestra del terzo piano e si tuffano in caduta libera sulla follia che stavolta ha portato la morte nel condominio del degrado. In questa babele di razze che è il residence Ibisco di via Altichieri da Zevio raccontano di un cadavere carbonizzato nel soppalco di un appartamento al piano terra, raccontano anche di un indiano che scappa in strada a piedi scalzi alle 5.30 del mattino, con un pachistano che lo insegue nonostante le ferite da taglio al collo e dietro l’orecchio. Un puzzle assassino che i carabinieri stanno cercando di ricomporre, pezzo dopo pezzo, nonostante la reticenza della gente che popola questo ghetto nel quartiere Arcella. Un regolamento di conti tra indiani. A fine giornata è questa la tesi a cui si affidano gli investigatori per spiegare la ferocia di chi prima ha ucciso e poi ha acceso il fuoco con l’idea di cancellare ogni prova. «Stavolta è finita male», sintetizza Francesco, titolare del vicino ristorante, facendo spallucce.
il ghetto
C’è una fetta di quartiere che subisce da anni le dinamiche del residence Ibisco, con i suoi 63 miniappartamenti abitati da tunisini, indiani, pachistani, romeni e solo tre italiani, con la convivenza che scricchiola, le spese condominiali non pagate, i sigilli ai contatori di luce, acqua e gas. C’è chi scomoda addirittura il fantasma di via Anelli ma il paragone è fuori mira.
Al civico 61 di via Da Zevio ci sono inquilini che abitano lì da oltre dieci anni, ci sono turnisti, operai, facchini, qualche prostituta. Parlano però di un debito di oltre 80 mila euro accumulato nei confronti delle aziende che forniscono i servizi, quindi quando ieri mattina, poco dopo le 5, il fumo ha iniziato a salire da un piano all’altro qualcuno ha pensato che si trattasse di un falò improvvisato per far fronte al freddo di una camera da letto.
il fatto
Nel piccolo soppalco dell’appartamento al piano terra vive un indiano di 37 anni che tutti chiamano Sanje. «Un tipo tranquillo», lo descrivono così. Da un po’ di tempo ospitava un connazionale di 45 anni, Singh Hoshiar. Uno “irregolare sul territorio nazionale”, diranno poi i carabinieri del Nucleo investigativo. Cosa possa aver indotto “Sanje il tranquillo” a scatenare una simile ferocia nei confronti del suo ospite, questo a tarda sera è ancora uno dei punti di domanda che affligge gli investigatori. C’è un’ipotesi che si fa largo più di altre. Cioè che, in preda a un raptus, prima lo abbia ucciso con una serie di coltellate al collo e al torace e che poi abbia tentato di disfarsi del cadavere con il fuoco, nella camera in cui dormiva: un loculo 2 metri per 2 che diventa anche la sua tomba. Sanje l’indiano, raccontano, odia il pachistano che vive al piano superiore. Le liti non si contano. È proprio lui, il pachistano, a bussare come un ossesso alla porta del suo alloggio quando ancora non è arrivata l’alba. Inizia un nuovo round di questa contesa insanabile e così, per caso, si scopre il cadavere.
l’allarme
Il quarantenne pachistano si prende due-tre coltellate. Decide di chiamare il 112: «Mi hanno aggredito, aiutatemi». Il fumo, intanto, inizia a uscire dall’appartamento. L’indiano capisce che le forze dell’ordine stanno per arrivare e fugge in strada a piedi scalzi. Lo ferma una gazzella dei carabinieri poco distante. Altri militari entrano nell’appartamento e trovano il cadavere semi carbonizzato. I pompieri spengono il rogo, il pachistano e l’indiano vengono torchiati tutto il giorno in caserma ma mancano movente e arma del delitto. Quando si fa sera il bimbo del terzo piano continua a guardare gli uomini della Scientifica con le tute bianche, la madre lo sposta e chiude le tende. —
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