Padre “Lele” Ramin, avviata la causa per la beatificazione

Il Comboniano fu ucciso in un’imboscata in Brasile nel 1985. I fratelli: «La sua figura appartiene all’intera comunità»
PD 23/07/2000 GM CHIESA DI SAN GIUSEPPE X CERIMONIA DI COMMEMORAZIONE DEL MISSIONARIO RAMIN.SALMASO.RIPRODUZIONE FOTO
PD 23/07/2000 GM CHIESA DI SAN GIUSEPPE X CERIMONIA DI COMMEMORAZIONE DEL MISSIONARIO RAMIN.SALMASO.RIPRODUZIONE FOTO

PADOVA. Da ragazzo, dopo la scuola superiore, Ezechiele non sapeva che fare. I genitori insistevano, gli chiedevano se volesse andare all’università o trovarsi un lavoro, ma lui non si decideva. Poi, un giorno, la scelta arrivò a sorpresa: ai genitori Ezechiale disse solo di salire in macchina e che li avrebbe portati là dove intendeva continuare gli studi. E l’auto, quel giorno, si fermò in via San Giovanni da Verdara, davanti alla chiesa dei padri comboniani. In quella stessa chiesa, davanti a centinaia di fedeli e un altare coloratissimo, è iniziata ieri la causa per la beatificazione di Padre Ezechiele Ramin, con la prima sessione pubblica.

In prima fila, ad assistere compostamente alla cerimonia, c’erano i quattro fratelli Filippo, Paolo, Antonio e Fabiano Ramin, che ormai partecipano quasi da esterni a una devozione molto più ampia verso il congiunto. «Nei nostri ricordi» dice Filippo, «c’è un ragazzo come tanti, che amava la musica e la montagna. La persona che oggi viene commemorata, però, non è più solo una parte della nostra famiglia: non appartiene nemmeno più a noi, ma a questa comunità».

Il ricordo. Padre Ezechiele Ramin, che tutti hanno sempre conosciuto più semplicemente come “Lele”, nasce il 9 febbraio del 1953, nella parrocchia di San Giuseppe. Dopo la maturità classica all’Istituto Barbarigo, inizia il postulantato tra i Comboniani a Firenze, dove prosegue gli studi teologici. Nel 1984, l’arrivo a Cacoal, in Brasile, dove muore il 24 luglio 1985, vittima di un’imboscata da parte di sette sicari. Papa Giovanni Paolo II lo ha definito un “martire della carità”. «Io ed Ezechiele eravamo amici, compagni di scuola e di noviziato» ha spiegato ieri padre Giovanni Munari, provinciale dei Missionari Comboniani presente alla cerimonia, «anche per la missione in Brasile eravamo partiti insieme. C’era, in quel tempo, una situazione difficile nel Paese, per i forti conflitti e le tensioni. La chiesa voleva essere voce dei piccoli e dei poveri, i religiosi si erano messi in prima linea. La sera prima della sua morte, a Ezechiele era stato sconsigliato di affrontare quel viaggio, che poi fu fatale: in gioco c’era lo sfratto di alcune famiglie e un confratello più anziano lo aveva pregato di non andare. Risolveremo un’altra volta, diceva. Ma i preti devono andare lì dove il popolo ha bisogno di loro. Così fece padre Ramin. In quegli anni moltissimi sacerdoti, suore, animatori di comunità, esponenti del mondo sindacale e politico fecero una scelta di campo, mettendosi dalla parte delle vittime della società. E pagarono un prezzo molto elevato per questo: Ezechiele fu uno di loro, e fino ai nostri giorni in Brasile lo ricordano, per la sua testimonianza e il suo impegno».

La beatificazione. Proprio in Brasile, dalla Diocesi di Ji-Paranà, il primo aprile 2016 è stata avviata ufficialmente l’indagine sulla fama di santità del missionario, avvalorata dall’indicazione “super martyrio” (ossia la consapevolezza che il religioso è morto nella difesa della propria fede, per la pace e la giustizia). Dal vescovo di Ji-Paranà, Bruno Pedron, è giunta la richiesta al vescovo di Padova, Claudio Cipolla, di aprire un processo rogatoriale per poter procedere alla raccolta delle testimonianze. Sono trentuno i testimoni che, prossimamente, verranno sentiti dal tribunale istituito a Padova. Tra questi ci saranno i familiari, persone che hanno conosciuto padre Ramin nelle diverse fasi della sua vita in Italia e nel periodo di formazione e un nutrito gruppo di comboniani. «Mettere al centro della riflessione delle nostre comunità la figura di padre Ezechiele» ha detto concludendo la cerimonia di ieri il vescovo Cipolla, «non significa proiettare su qualcuno tutta la possibilità di realizzare il bene, ma vedere in qualcuno una chiamata per tutti noi».

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