Padre Michael evita alla Guinea un’altra guerra

PADOVA. È stato fra quanti hanno impedito lo scoppio della guerra civile in Guinea Bissau, aiutando le parti in causa a trovare un sofferto compromesso. Ovvero una soluzione transitoria, che non avrà i crismi dell’ortodossia democratica ma che ha consentito di risparmiare al poverissimo paese africano altri spargimenti di sangue. Padre Michael Daniels, missionario francescano e parroco della cattedrale di Bissau, in Guinea Bissau è anche delegato del Pontificio consiglio “Giustizia e pace”. E in tale veste, oltre che per l’autorevolezza conquistata attraverso un impegno missionario forte, ha potuto partecipare in aprile alle febbrili consultazioni per fermare le parti in causa dopo il colpo di stato del 12 aprile.
Una premessa. Padre Michael, figlio di un generale della Nato di stanza a Vicenza (la mamma è francese), a Padova è famoso perchè una decina di anni fa era il frate delle discoteche, colui che insieme ad alcuni amici fece scalpore per aver dato ai giovani frequentatori dei locali dello sballo l’alternativa di potersi divertire in luoghi di più “sicuri”, al riparo da alcol e droga. Dell’associazione “Spirit in dance” è ancora presidente onorario. Il gruppo di amici padovani, da lui fondato con Marco Zanin, ha già organizzato due spedizioni di aiuti umanitari, via terra, in Guinea Bissau. L’ultima, “Save Guinea”, è tuttora al centro di iniziative di solidarietà.
In Guinea Bissau Padre Michael è arrivato quattro anni fa. Con in tasca anche la laurea in veterinaria. L’ex colonia portoghese ha un’economia disastrata, legata all’esportazione dell’anacardo. E proprio per questa sua fragilità è diventata una base logistica del traffico internazionale di droga. Favorito dalla corruzione.
Il paese ha patito una guerra civile già nel 1999, con conseguenze devastanti. I frati francescani veneti si sono guadagnati rispetto e considerazione per aver sempre perseguito il bene del paese. A Cumura hanno realizzato un polo scolastico con scuole di ogni ordine e grado, per circa 1500 alunni, e un ospedale con lebbrosario che ogni giorno cerca di lenire le piaghe di un paese perennemente in sofferenza. L'attività è sostenuta grazie alla generosità di tanti benefattori, molti dei quali veneti.
Quando il 12 aprile c’è stato il colpo di stato il paese si apprestava a tornare alle urne per il ballottaggio. Il primo ministro Carlos Domingos Gomez junior era destinato a diventare Presidente della Repubblica. I militari lo hanno arrestato e incarcerato. In molti hanno temuto che la parola passasse all’artiglieria. Invece è prevalso l’appello di quanti hanno invocato le parti in causa a cercare un cammino di dialogo. Padre Michael ha ricevuto l’appello dei familiari del primo ministro incarcerato, affinchè potesse visitare il recluso. I militari si sono opposti. Ma pochi giorni dopo il primo ministro è stato liberato e ha potuto riparare in Portogallo.Il religioso ha potuto però partecipare agli incontri per una soluzione alla crisi. Negoziati che si sono svolti a più livelli. Quello istituzionale e quello a cui hanno partecipato anche la Chiesa, le associazioni e le Ong operanti nel paese. E questo livello di dialogo, basato sulla conoscenza dei problemi reali del paese, è stato più produttivo di quello ufficiale, dove anche l'Onu ha potuto far poco.
«Trattative difficili» ammette il missionario «perchè gli interessi in gioco erano altissimi. I militari sono intervenuti dopo aver saputo dell’accordo segreto siglato da Gomez junior con l’Angola. Prevedeva uno sfruttamento degli immensi giacimenti di bauxite al confine con la Guinea Conacry e anche una cooperazione militare. Tutto ciò ha indotto i militari ad intervenire senza indugi, temendo di essere esautorati dalle forze straniere sempre più presenti nel paese».Ora è stato insediato un governo provvisorio, di transizione. Non riconosciuto dalla comunità internazionale. Dovrebbe riportare la Guinea Bissau alle urne in una situazione meno viziata da ingerenze straniere. «L’Africa insegna ad essere sempre prudenti» dice Padre Michael «ma ho l’impressione che il paese possa uscire da questo incubo, anche se servirebbe un commissariamento della politica di almeno un decennio per estirpare l'abitudine all'illecito».
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