Paese svuotato dall’emigrazione Pallaro primo senatore all’estero

gli ultimi secoli
Dopo la caduta della Serenissima, nel passaggio tra francesi e austriaci il territorio conosce una nuova riorganizzazione: nel 1806 viene costituito il comune di San Giorgio in Bosco, che quattro anni più tardi si allarga con l’inclusione di Sant’Anna Morosina, Paviola con Ramusa, Cogno, e Lobia con Persegara. Nel 1866, il passaggio col Regno d’Italia non modifica le precarie condizioni di vita della popolazione, che sul finire del secolo alimentano un massiccio flusso migratorio oltre oceano: tra il 1870 e il 1898 lasciano il paese ben 4mila persone, oltre 600 delle quali nel solo ’98.
È un esodo talmente forte da aver lasciato traccia ancor oggi, con il Comune impegnato nella realizzazione di un Museo dell’emigrazione, d’intesa con la Regione Veneto e con il Parlamento, da collocare a villa Bembo, e inserito in una rete museale dedicata allo stesso tema, assieme a quelli di Cavasso Nuovo in Friuli Venezia Giulia, Bobbio in Emilia Romagna, Francavilla Angitola in Calabria, e Salina in Sicilia. Diventerà un luogo di didattica, di tutela e di valorizzazione delle testimonianze storiche sulla realtà dell’emigrazione veneta, e in particolare padovana, nel mondo.
A sostenere questo progetto c’è un emigrante doc, figlio proprio di San Giorgio in Bosco: Luigi Pallaro, classe 1926, emigrato giovane con la famiglia in Argentina, perito industriale, che partendo pressoché da zero è riuscito a diventare un imprenditore di successo, fino ad essere nominato presidente della Camera di commercio italo-argentina. Nel 2006 è stato eletto senatore, come rappresentante della circoscrizione estera, nella prima applicazione della legge che ha esteso il diritto a essere eletti anche ai nostri emigrati.
Tornando alla storia del paese, il Novecento vede San Giorgio in Bosco, dopo la rotta di Caporetto nella Grande Guerra, diventare retrovia del fronte, con l’insediamento di truppe anglo-francesi. Il secondo conflitto mondiale lascia un tragico segno proprio alla conclusione, il 29 aprile 1945, quando le colonne tedesche in fuga compiono un rastrellamento della popolazione partendo da Sant’Anna Morosina (50 persone prelevate, 36 delle quali uccise), e proseguendo per Abbazia Pisani e San Martino di Lupari, ammazzando 60 civili e terminando a Castello di Godego, nel Trevigiano, dove vengono trucidati 76 ostaggi.
Nel dopoguerra le condizioni di vita restano pesanti come prima: tra il 1928 e il 1971 la popolazione perde oltre duemila unità, scendendo a 4. 500 abitanti. Poi inizia la risalita, anche economica.
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