«Picchiata davanti ai ragazzi per aver fatto il mio dovere»

SELVAZZANO. «Stavo per raggiungere i colleghi per gli scrutini, quando mi sono trovata davanti quella donna. Era una furia. “Perché non ha interrogato mio figlio? Era un suo diritto”, ha gridato. Mi ha colpito con una manata in faccia, poi con un pugno in testa. Io sono caduta, mezza svenuta, e quando ho ripreso conoscenza c’era sangue dappertutto».
Francesca Redaelli, professoressa di inglese della scuola media Albinoni di Caselle di Selvazzano non riesce a dimenticare l’aggressione subita venerdì intorno alle 13 per mano della madre di uno dei suoi studenti. Maneggia il referto medico dove è certificata la frattura del setto nasale con una prognosi di 20 giorni e pensa.
Riflette sul suo operato di insegnante con esperienza ventennale. Ripercorre questi ultimi mesi di scuola. Analizza il suo rapporto con quel ragazzino con il registro pieno di insufficienze. Un bambino per cui la famiglia ambisce a una carriera sportiva.
Dunque lei è stata aggredita perché non ha dato a quel ragazzo la possibilità di recuperare l’insufficienza?
«Io l’ho interrogato giovedì e ha preso 4. La madre pretendeva che lo sentissi ancora ma venerdì era anche l’ultimo giorno di scuola, dedicato alla festa dell’istituto. Non c’era il tempo materiale per farlo. E comunque avevo misurato la sua preparazione esattamente il giorno prima».
Qual è la storia scolastica di questo ragazzino?
«A fine marzo aveva alcune materie insufficienti. Sta seguendo un percorso sportivo che lo porta spesso all’estero. È rimasto assente da scuola quasi un mese. Quando è tornato l’ho interrogato e ha preso 4. Ho fatto una verifica e gli ho dato 3,5».
Dicono che lei sia una insegnante molto severa, forse la più severa della scuola. Questo non giustifica in nessun modo un’aggressione come quella che ha subito ma, insomma, è vero?
«Io credo di essere una docente giusta e corretta. Se un ragazzo merita 4 perché gli devo dare 6? Ed è esattamente questo che chiedeva quella madre. Si presentava a scuola a ogni ora, spesso fuori dagli orari di ricevimento. Pretendeva che io e i miei colleghi abbandonassimo le lezioni per parlare con lei. In alternativa ci lasciava lettere con scritto quello che avremmo dovuto fare».
Come quella che sta maneggiando in questo momento?
«Sì, eccola qua. “Mio figlio dovrà disputare i campionati europei. Chiedo che vogliate essere comprensivi (...)”. Mi dispiace ma la scuola deve fare la scuola».
Dunque lei venerdì non ha avuto il tempo né di replicare, né di difendersi?
«Non sono riuscita a fare nulla. Mi vede? Peso 48 chili. Quella era il doppio di me e comunque sia, non rientra nel mio stile di vita alzare le mani. In ogni caso mi ha aggredito senza darmi il tempo di far nulla. Ha spintonato persino una collega che si trovava accanto a me. E sa qual è la cosa che più mi dispiace? Che la figlia di quella signora, un’altra alunna della scuola, ha visto tutto perché si trovava nei paraggi».
La domanda è banale ma va fatta: come si sente?
«Sono frastornata però sto ricevendo tanti attestati di vicinanza e solidarietà. Ecco, questo è un messaggio che i colleghi mi hanno girato da parte dei miei ragazzi: “Prof siamo tutti sconvolti. Le vogliamo tanto bene”.
Com’è lavorare in questo mondo della scuola, con i professori che vengono picchiati dai genitori degli alunni?
«Le dico solo che molto spesso i genitori li riceviamo in due, per evitare fraintendimenti. Per avere comunque un testimone di quello che viene detto. È cambiato tutto, rispetto al passato».
Questo cambio di passo ha qualche riflesso nel modo di essere con i ragazzi?
«Questo non lo so. Posso soltanto dire che io non regalo voti, non lascio il mio numero di telefonino e non faccio gruppi Whatsapp con gli studenti. Mantengo sempre la giusta distanza e non credo possa essere una colpa».
Adesso cosa succederà? Quel ragazzino sarà bocciato?
«Non lo so, gli scrutini sono oggi (ieri) e io sono qui a casa in malattia».
Nel futuro come si regolerà?
«Dopo quel che è successo io non voglio più vedere quei genitori».
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