Pino Bisazza: «Il Nordest punti sui leader e si confronti con l’Europa»
Pino Bisazza, primo presidente della Fondazione, lancia un centro studi a rete «Abbiamo perso autorevolezza e ci siamo chiusi: ora è tempo di recuperare»

PADOVA. Il Nordest si è chiuso in se stesso: ha perso autorevolezza, leader, «personaggi». È tempo di recuperare il terreno perduto.
Pino Bisazza allarga il campo della discussione: non solo il ruolo e il futuro della Fondazione Nord Est ma lo sviluppo di un intero territorio in chiave europea. Perché se quest’area, anche nella sua locuzione, ha vissuto per decenni una rappresentazione geo-politica basata sulla distanza da Roma e Milano, oggi deve ri-contestualizzarsi e mettersi a confronto con le aree più dinamiche dell’Ue: Baviera in testa.
Quando nel 1999 nacque la Fondazione Nord Est con direttore Ilvo Diamanti, Giuseppe (detto Pino) Bisazza ne fu il primo presidente. Il cognome non può che non essere legato allo splendore dei mosaici e, dal 2000, alla vicentina Trend di cui è presidente. Imprenditore e collezionista, Bisazza ha sempre creduto nella sinergia arte-impresa. Ma anche nel centro studi di Confindustria che lui contribuì a fondare.
Presidente, perché nacque in seno a Confindustria il bisogno di un centro studi?
«Ho ancora molto chiari i motivi: la Fondazione Nord Est fu costituita per raddrizzare una visione del Veneto e del Nordest. Attraverso i risultati della ricerca, nella sua vera essenza, doveva emergere un Veneto totalmente diverso dalla sua rappresentazione. Dovevamo dimostrare di non essere un popolo di ignoranti né gente che andava a prostitute ogni sera, come si diceva. La Fondazione è nata per ricalibrare una fotografia distorta. Ed è servita molto a questo scopo».
Fu “solo” un bisogno di rappresentazione?
«No: il secondo scopo altrettanto importante fu di avviare, già allora, un confronto con le altre aree eccellenti dell’Europa. Mi ricordo che organizzammo un incontro in Spagna e dovevamo avvicinarci anche alla Baviera. Ma poi uscii e non credo ci sia stato un seguito. L’idea era di aprire un confronto costante con queste aree e la loro dinamica: avevamo già capito che, lo sviluppo futuro di un’Europa ancora debole, sarebbe stato nelle mani di aree economiche eccellenti. Con l’allora direttore Giorgio Lago studiammo insieme il modo per ospitare sul «Gazzettino» una pagina del giornale bavarese e viceversa. Questa fu una mia idea che lanciai per una comune conoscenza e un reciproco sviluppo: una sorta di unione tra due aree economiche affini e confinanti».
E come finì?
«Lo scambio fu ideato ma la morte di Lago frenò il progetto. Credo che, alla fine, non ne nacque nulla».
Non può essere recuperato oggi quel collegamento europeo?
«Direi che, superato ormai lo scoglio di una fotografia diversa dalla rappresentazione esterna, il futuro della regione a livello europeo è un obiettivo valido tutt’oggi, visto che il Veneto chiede con Luca Zaia continue forme di autonomia che potrebbero essere supportate da questi confronti internazionali. Credo sia fondamentale che oggi i veneti si aprano al confronto internazionale».
Chi deve immettere nuova benzina per uno slancio europeo?
«Il mio punto di orgoglio è stato mettere insieme tutti, 18 anni fa, perfino le camere di commercio trentine e dell’Alto Adige. Questo significò anche avere buone entrate che ora non ci sono più. Forse serve ritarare forze in campo e obiettivi della Fondazione Nord Est magari con aperture all’esterno e una struttura a rete che possa delegare e unire più soggetti, sotto un unico brand-cappello Fondazione. Ma per far questo serve l’autorevolezza: solo essendo forte e credibili si può assumere la paternità anche nella delega».
È un cambio di modello?
«Diciamo che non ho in mente un centro studi classico. Questa è un’area che ha bisogno di un centro forte che si apra all’Europa: passo fondamentale per dare una conoscenza oltre il Veneto e le “cose interne nostre”: oggi parlare di Nordest serve a poco. Meglio confrontarsi con il mondo».
Quanto all’autorevolezza?
«Si sono persi i “personaggi” e ci si è rinchiusi in se stessi...».
Come si recupera?
«Si deve partire dallo screening di quello che esiste ma va costruita la rete in un immediato futuro di 3-5 anni».
Il driver del cambiamento dev’essere Confindustria?
«La Fondazione può essere un orgoglio per Confindustria che si deve oggi confrontare con altri centri studi e le cose che altri già hanno avviato e fanno bene. Il confronto è sempre stimolante, per tutti».
E una rete anche italiana?
«Si può partire da vicino: da un collegamento con il Cuoa di Altavilla e altri centri di pensiero per avere sempre continui apporti di idee reciproche. Il driver dev’essere l’utilità di collimare i principi della Fondazione con il nuovo desiderio economico del Nordest».
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