Pornostar uccisa, Mossoni: «È stata banda albanesi»

L’ex compagno aveva fornito questa versione in un colloquio avuto con gli psicologi nove giorni prima dell’arresto

VENEZIA. Accusa una banda di albanesi dell'uccisione della sua ex compagna, Franco Mossoni, il 55enne bresciano arrestato ieri per l'omicidio e occultamento del cadavere di Federica Giacomini, l'attrice hard ritrovata con il cranio fracassato in una cassa sul fondo del lago di Garda. L'uomo il 26 giugno, nove giorni dopo il ritrovamento del cadavere aveva chiesto e ottenuto di parlare con una psicologa nell'ospedale psichiatrico giudiziario che l’ospitavà da febbraio dopo aver minacciato il personale dell'ospedale di Vicenza. Mossoni, in quell'occasione, ha raccontato che a uccidere Federica sarebbero stati tre albanesi che si erano presentati a casa della donna e che volevano soldi. Dopo aver preso il denaro avevano colpito in testa Giacomini con il calcio di una pistola uccidendola. Ha anche detto di aver avuto paura e di non aver parlato della vicenda con nessuno. Il racconto è riassunto nell'ordinanza di custodia cautelare che ieri è stata firmata dal giudice Stefano Furlani e che contesta a Mossoni l'omicidio volontario aggravato e la soppressione di cadavere. Ma a questo racconto non crede nessuno: non ci credono gli agenti della squadra mobile di Vicenza, guidata da Michele Marchese, non ci crede il pubblico ministero Silvia Golin e non ci crede nemmeno il giudice, che lo definisce «evidentemente di comodo».

I colpi che hanno ucciso Federica Giacomini sono cinque, uno dei quali di violenza tale da avere riscontro di solito in casi di incidente stradale: l'osso temporale è stato frantumato. Non a caso il pubblico ministero parla di un evento che è spiegabile solo come un omicidio di eccezionale efferatezza. Non ci sono invece dubbi di alcun tipo circa la soppressione del cadavere, la volontà di non farlo trovare mai più. È Mossoni che, presentandosi come un tale Franco Falkan, biologo marino, convince un noleggiatore di barche a portarlo al largo il 20 gennaio e ad inabissare la cassa azzurra davanti a Brenzone (Verona). Il barcaiolo ha scattato delle foto con il suo cellulare del momento in cui la cassa va a fondo. E quelle foto ora sono nel fascicolo. A casa di Mossoni sono state trovate le prove che proprio li è stata costruita la cassa, fra il 15 gennaio, giorno del probabile delitto, e il 20. È dal 15 gennaio, infine, che il telefono di Federica Giacomini passa di mano. Lo si capisce perchè prima quel telefono fa 100 chiamate al giorno, dopo manda solo qualche sms, nel tentativo di confondere le acque.

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