Porto di Saccolongo l’approdo sicuro per i navigatori dell’età del bronzo

FRANCESCO JORI
Boschi fitti e acquitrini tutto intorno: non il posto migliore per viverci, quello dell’odierna Saccolongo, ma se c’è un fiume come il Bacchiglione a portata di mano se ne possono ricavare dei sicuri vantaggi. È quello che pensano già nell’età del bronzo alcuni piccoli gruppi in cerca di un luogo in cui insediarsi: evidentemente non se ne pentono, perché da allora in poi la zona sarà pressoché costantemente abitata. E non resterà un’enclave isolata, al contrario: nel 1950, la sabbia del fiume restituisce una piroga lunga sette metri, con lo scafo ricavato da un unico tronco d’albero, risalente al secondo millennio avanti Cristo; segno che le popolazioni dell’epoca hanno stabilito relazioni commerciali con qualche altro nucleo abitato lungo il Bacchiglione. È una comunità piccola, ma bene organizzata: gli scavi hanno restituito vasellame, pezzi di ceramica e altri reperti che testimoniano di un centro particolarmente attivo, insediato nel tratto di ansa fluviale che va dal ponte di Trambacche a Creola (dove sono state trovate tracce di un antico porto), poco a valle della confluenza con il Tesina.
Con queste premesse, quando arrivano i romani trovano già un impianto consolidato, e ci mettono del loro. Sempre a Creola, a non molta distanza dal fiume, un imprenditore privato dell’epoca apre una fornace che produce vasellame, tegole e mattoni da costruzione: materiale griffato, si può dire, visto che i reperti giunti fino a noi recano incisi due marchi: Cameriana e Servilia.
BUONA TERRA DA VASI
Il nome stesso dell’attuale frazione è espressione di questo tipo di attività produttiva: Creola, sintesi di creta più olla, ha un terreno di natura argillosa che bene si presta alla fabbricazione sia di mattoni che di vasi e di pentole, dette appunto in epoca romana olle.
Questo fervore di attività sprofonda in un progressivo declino per l’estinzione dell’impero e le successive incursioni dei barbari; e torna a rivivere solo dopo il Mille, quando i monaci benedettini mettono mano al risanamento dell’intera area compresa tra le due antiche strade di epoca romana, la Pelosa tra Padova e Vicenza, e la Montanara che conduce invece ai Colli Euganei.
A Saccolongo, in particolare, i seguaci dell’impegnativa regola di San Benedetto (prega e lavora) aprono un monastero intitolato a Santa Maria, attorno al quale si organizza il primo nucleo abitato dell’attuale paese; vi rimarranno per secoli, insegnando alla gente non solo a pregare, ma anche a coltivare i campi e a costruirsi delle solide case coloniche.
CASTELLO RASO AL SUOLO
Bisogna però misurarsi anche con la dura legge delle guerre. Che cominciano nel 1198, quando i vicentini radono praticamente al suolo un castello fatto costruire a Creola poco prima dell’anno Mille dall’imperatore Ottone II; e poi si aggiungono i conflitti degli stessi vicentini e dei veronesi con il Comune di Padova e con i Carraresi; infine la conquista da parte della Serenissima mette fine alle ostilità e inaugura una lunga stagione di silenzio delle armi. Si intensificano le bonifiche, vengono costruiti ponti e strade, si rinforzano gli argini. Dopo la parentesi della guerra tra Venezia e le potenze alleate nella Lega di Cambrai, agli inizi del Cinquecento, Creola nel 1512 viene concessa in feudo a un personaggio decisamente controverso, Benedetto Crivelli. Di lui si mormora che durante il conflitto, in cui è impegnato come condottiero al soldo del re di Francia, abbia ceduto alle lusinghe della Serenissima, lasciandola conquistare senza colpo ferire la roccaforte di Crema, di cui è custode, ricevendo in cambio l’onorificenza di patrizio veneto e appunto il possedimento di Creola.
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