Ricatto hard al principale «Era la mia buonuscita»

CITTADELLA. «Era stata una battuta, invece mi ha teso una trappola bella e buona. Mi era scaduto il contratto e dopo mille promesse di trovarmi una sistemazione avevo pensato che quei soldi fossero una sorta di aiuto, di buonuscita». Sara Andretta, 41 anni, finita agli arresti per il ricatto hard a un imprenditore, giustifica così i fatti all’uscita dall’aula del tribunale di Padova dove ieri verso l’una si è svolta la convalida del suo arresto davanti al giudice Elena Lazzarin. L’arresto è stato convalidato, il giudice ha revocato gli arresti domiciliari, ora è una donna libera: è stato disposto però il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima.
Sara, come è nata e quanto è durata la vostra relazione?
«Era stata assunta nell’azienda dell’imprenditore con un contratto di un anno, lavoravo come traduttrice e procuravo affari nei mercati esteri, poi anche all’ufficio commerciale. La nostra relazione è durata circa sette mesi».
Quando i rapporti tra voi si sono incrinati?
«Non sono stata rinnovata e al mio posto è stato preso da un altro. A dire il vero poteva benissimo trovare una nuova posizione ed assumermi. Mi ha assicurato che mi avrebbe aiutato economicamente o a trovarmi un nuovo posto di lavoro. Ma non ha mantenuto le promesse. Lui voleva mettere a tacere la nostra relazione».
Dove avvenivano i vostri incontri clandestini?
«Dove capitava, anche in azienda».
Quando l’altro giorno ha ricevuto i 20 mila euro e poi l’hanno bloccata i carabinieri, cosa ha pensato?
«Che era un equivoco, una trappola bella e buona, per me quei soldi erano quelli che mi erano stati promessi per non avermi tenuta a lavorare, li avevo presi in buona fede. Ma quale ricatto? Io l’avevo interpretato come un aiuto, conosco bene pure la sua famiglia. Ma, scusi, perché non potete mettere pure il suo nome sul giornale? Perché solo il mio?».
La Andretta ieri era al fianco del suo avvocato di fiducia, Filippo Giacomello. «Davanti al giudice c’è stata una parziale ammissione ma la mia cliente ha ribadito che quei soldi gli erano stati promessi come una sorta di “risarcimento”. Comunque il reato c’è e la settimana prossima incontrerò il pubblico ministero per valutare l’ipotesi di un patteggiamento».
Del resto il pubblico ministero Sergio Dini si appresta a chiedere il giudizio immediato per la 41enne. Nella perquisizione effettuata dai carabinieri nell’abitazione trevigiana della donna è stato rivenuto un bigliettino (si ipotizza pronto alla spedizione) con un’accusa precisa: “La ditta emette delle fatture false”, l’ipotesi è che si trattasse di una nuova ritorsione visto che alla moglie dell’imprenditore erano già state spedite lettere allusive. Scovato dagli inquirenti anche un sms mandato da lei a lui che lascia ben poco margine di interpretazione: “Adesso mi diverto io ...”. Per la procura di prove ce ne sono, eccome, per sostenere in pieno l’accusa di estorsione. Messaggi, telefonate, intercettazioni. Lei che pretendeva i 150 mila euro e la consegna di una prima tranche avvenuta nel bar di una stazione di servizio dell’Alta Padovana. La pena prevista è della reclusione da sette a venti anni e della multa da euro 5 mila a 15.000.
L’imprenditore vittima dell’estorsione si era rivolto ai carabinieri della Compagnia di Cittadella i primi di maggio, raccontando di settimane di minacce continue, non più sostenibili. Ecco che scatta la trappola con la collaborazione dell’industriale che accetta di pagare per avere il silenzio dell’ex amante. I telefonini sono intercettati. Le parole che si imprimono sui nastri delle registrazioni sono “pesanti”. Per la Andretta smentire sarà molto difficile. Si potrebbe arrivare davanti al giudice in pochi mesi.
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