Riina jr potrà incontrare il papà boss di Cosa Nostra

Voleva incontrare il padre Toto' Riina, il boss sanguinario e indiscusso di cosa nostra fino al giorno dell'arresto il 13 gennaio 1993 che non vede da 14 anni. E lo farà. Il tribunale di Sorveglianza di Venezia (sezione staccata di Padova, presidente Giovanni Maria Pavarin) ha accolto il reclamo proposto dal figlio Giuseppe Salvatore Riina (tutelato dall'avvocato vicentino Francesca Casarotto). Figlio che aveva impugnato il provvedimento di diniego agli incontri con il papà firmato dal giudice di Sorveglianza. Il motivo? Una relazione delle forze di polizia secondo la quale sarebbe il contatto tra il vecchio capomafia e le "famiglie" del territorio di Corleone Riina Junior, alle spalle 9 anni di carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso e, oggi, una misura di sicurezza, la libertà vigilata, che lo obbliga a vivere e a fare volontariato a Padova fino al prossimo dicembre. Ma il figlio, che vive nel quartiere Arcella, aveva rilevato come la mamma, le sorelle e un fratello pure detenuto sono autorizzati ai colloqui con il padre, ammalato di Parkinson, con problemi cardiaci e colpito da un' ischemia cerebrale tanto da avere una limitata capacità di parola (menzionata nel provvedimento di Sorveglianza come afasia). Non a caso è attualmente detenuto nell'ala ospedaliera del carcere di Parma.
Il tribunale di Sorveglianza ha accertato il regime di applicazione del 41 bis (il regime carcerario più duro previsto per i criminali mafiosi) nei confronti di Totò U'Curtu per verificare eventuali prescrizioni e limitazioni. Limitazioni che non esistono almeno per i contatti con i familiari ai quali è consentito un incontro al mese a distanza, separati da un vetro e senza la possibilità di toccarsi. I colloqui, che avvengono tramite microfono, sono anche videoregistrati e ascoltati in tempo reale da un agente che può interromperli in qualunque momento qualora necessario. Ora il via libera al figlio terzogenito: potranno riabbracciarsi presto Salvatore jr e Totò, condannato a più ergastoli come mandante (tra i vari fatti a lui contestati) per l'assassinio dei commissari Ninni Cassarà e Beppe Montana, del giudice Antonio Scoppellitti, del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, del capo della mobile Boris Giuliano, per l'attentato a Firenze in via dei Georgofili (5 vittime) e per la strage di Capaci. Spiega l’avvocato Casarotto: «È stata accolta l’interpretazione della Giurisprudenza, seguita anche dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in ordine alla necessità di mantenere i rapporti fra il detenuto e i familiari come parte di un percorso rieducativo. Peraltro» aggiunge, «le condizioni del papà non sono ottimali come fa riferimento la decisione del tribunale che non ha visto nella libertà vigilata applicata a Salvatore un motivo ostativo al diniego dei colloqui». Sulla data dell’incontro, massima segretezza.
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