Rivuole il figlio “rapito” in Tunisia

MONSELICE. Da due anni non fa più la mamma. Eppure cerca il suo bimbo. Lo vuole e lo desidera. Ahmed (nome di fantasia per tutelare il minore) oggi ha otto anni, compiuti lo scorso 8 giugno. Ha un nome e un cognome di origine arabi, come il papà di nazionalità tunisina, e una mamma italiana residente in un Comune del Monselicense. Una mamma “orfana” del figlioletto, andato in vacanza dai nonni paterni a Tezeur in occasione del Natale 2007 e mai più tornato. È in Tunisia come il padre Y.B.H.A., trent’anni, una residenza nella Bassa fino a due anni fa, deciso a crescere quel bambino nella famiglia d’origine, impedendo all’ex moglie (ex di fatto, perché i due sono ancora sposati) di aver qualsiasi contatto con la sua creatura. Il prossimo 18 ottobre il giovane (difeso dall’avvocato Daniela Papalia) sarà processato davanti al giudice monocratico di Padova: lo ha deciso il gup Mariella Fino, accogliendo la richiesta del pubblico ministero Vartan Giacomelli che aveva chiesto il rinvio a giudizio dell’immigrato per maltrattamenti in famiglia e sottrazione di minore.
Non era un padre modello Y.B.H.A., soprattutto nei confronti della consorte, 41 anni, commerciante monselicense, costretta oggi a lunghi soggiorni nello stato nordafricano coltivando la speranza di riavere con sè il suo bimbo. Una speranza solida perché anche il tribunale di Tunisi, al quale si era rivolta reclamando l’affidamento del bambino, le ha dato ragione con un provvedimento emesso nel luglio 2010. Un provvedimento che ordina al padre la riconsegna del bambino alla mamma.
Niente da fare. Da quel giorno la madre ha potuto incrociare soltanto una volta il piccolo. Poi più nulla, nemmeno un saluto al telefono.
È poco meno di una decina d’anni fa che i due si conoscono. Y.B.H.A. è un giovanissimo immigrato senza permesso di soggiorno, lei è una bella donna curiosa verso il mondo. S’intreccia una relazione e nel 2004 da quell’amore nasce il bimbo. Tre anni più tardi, il 28 giugno 2007, la coppia si sposa civilmente benché i rapporti non siano dei più facili fin da subito. Ci sono differenze culturali forti. E caratteriali. E il ragazzo, che collabora nel negozio con la moglie, diventa sempre più insofferente fino ad avere reazioni violente e ingiuriose. Chiama la moglie «vecchia», la offende, le grida «Mi hai incastrato quando sei rimasta incinta...». Nonostante la tensione di coppia, la mamma non mette limiti ai contatti tra il bambino e la famiglia paterna. Anzi, più volte lei e il marito accompagnano il figlioletto in Tunisia per far visita ai nonni. L’ultimo viaggio in calendario è nel dicembre 2007. I genitori, però, sono impegnati al lavoro, così il bimbo è affidato a uno zio paterno che raggiunge il paese nordafricano con il nipotino: il ritorno è fissato entro Capodanno. Tuttavia alla data prevista, il bambino non torna. Le scuse accampate dai nonni sono tante e diverse. Finalmente rientra in Italia il papà, che si era ricongiunto al figlio. Ma è solo. E non dà spiegazioni accettabili. A marzo la mamma è sempre più preoccupata, mentre i rapporti con il coniuge diventano impossibili a causa dei frequenti maltrattamenti. È allora che la signora decide di partire. Inutile: il ritorno sarà amarissimo. E in solitudine. La famiglia del marito è esplicita: Ahmed resta in Tunisia. La mamma si fa forza: denuncia il marito in Italia per maltrattamenti in famiglia e sottrazione di minore, assistita dall’avvocato Daniela Boscolo Rizzo. E non rinuncia a ingaggiare una battaglia legale in Tunisia. Una battaglia vinta solo sulla carta. Vano pure il tentativo di “rapire” il bimbo e riportarlo in Italia: fermata dai parenti del marito, da allora non è più riuscita a incontrare il figlio. E, oggi, non sa nemmeno con certezza dove sia finito.
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova