San Pietro Viminario una palude e un bosco contesi fra Monselice e la rivale Pernumia

francesco jori
Nel suo piccolo, era una guerra tra due Stati stranieri, nata per una questione di confine, come tante altre volte nella storia, passata e recente. Siamo poco dopo il fatidico e temutissimo anno Mille, quello della supposta fine del mondo, rivelatasi una bufala. Da una parte c’è una grande potenza dell’epoca, Monselice, famosa fin dai tempi dei romani, poi diventata il centro di riferimento dell’intera Italia nord-orientale per i longobardi, al punto che vi è stata subordinata la stessa città di Padova. Dall’altra c’è una potenza medio-piccola ma consistente la sua parte, Pernumia: a sua volta con un illustre passato alle spalle, dispone all’epoca di una propria costituzione, ha una struttura fortificata, controlla un ampio territorio che si estende fino a Battaglia. In mezzo c’è una terra contesa, consistente in un bosco e in una palude: non un gran che, potrebbe sembrare oggi; ma in quei tempi sono entrambe realtà in grado di garantire delle risorse, e comunque c’è di mezzo una questione di potere. Oltretutto, non è una zona disabitata: c’è un piccolo nucleo insediato, coincidente con quella che diventerà poi San Pietro Viminario.
La vertenza si trascina per quasi un secolo; e la cosa singolare è che a dirimerla una volta per tutte non sono le armi né la diplomazia, ma un piccolo insediamento di suore del posto, che peraltro fa capo a uno dei più influenti e accreditati monasteri femminili dell’epoca, quello di San Zaccaria a Venezia.
DUNICANA E TENDA
Delle suorine locali, a quanto pare grintose e determinate, sappiamo anche il nome: Dunicana e Tenda. Le quali si mettono in contatto con l’autorevole badessa della casa-madre veneziana, Gertrude, le sottopongono il loro piano e ne ottengono non solo l’approvazione ma anche un concreto appoggio. Morale: quello in cui non sono riusciti i maschi l’ottengono le donne, con una soluzione che mette contenti tutti. A Monselice va la palude, a Pernumia il bosco; in apparenza è la prima che ci rimette, ma viene compensata con il diritto a condurre i propri animali al pascolo nel bosco altrui. Ed è proprio lì, in un’ampia macchia tra gli alberi, caratterizzata dalla folta presenza di vimini, che nasce San Pietro Viminario.
È un battesimo un po’ diverso da quello tipico della stragrande maggioranza degli altri comuni padovani, sorti in genere a cavallo dell’anno Mille attorno a una pieve (centro religioso ma anche amministrativo) che diventa chiesa parrocchiale, e che rappresenta il motore della formazione della comunità, incardinandosi nella struttura diocesana e dipendendo dunque dal vescovo.
arrivano i benedettini
Qui invece l’input parte da un monastero polesano, quello di San Pietro in Maone, dove esiste da tempo una comunità benedettina; ma si trova in una zona perfida, tra Adige e Po, fiumi entrambi abituati a piene e rotte di ogni tipo. A un certo punto i monaci decidono di spostarsi verso nord, e nel XII secolo (più o meno quando le loro colleghe suore risolvono la crisi diplomatica tra Monselice e Pernumia) mettono radici nel bosco di cui sopra. Il nuovo monastero rimane a lungo un insediamento benedettino, poi sul finire del Trecento viene rilevato dai francescani che vi rimangono praticamente fino alla caduta della Serenissima; solo da quel momento in avanti decolla una vera e propria parrocchia, affiliata alla diocesi di Padova.
Intanto, un altro insediamento si è avviato nella vicina Vanzo, oggi frazione di San Pietro Viminario. Il nome originario della località ha a sua volta matrice botanica: Vanzo Salcai, dalla presenza di salici.
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