Sciopero alla Fia 32 lavoratori da mesi senza stipendio

LIMENA. Hanno incrociato le braccia una decina di giorni per ottenere almeno il pagamento dello stipendio di marzo. Ma i 32 lavoratori della Fia, che ha sede in via Pierobon a Limena e produce affettatrici, non hanno ancora ricevuto quelli da aprile a giugno. E non hanno nemmeno tante rassicurazioni sul loro futuro. «Il 10 luglio saremo in Provincia» annuncia Filippo Pulga del sindacato Uil, che sta seguendo la vertenza «a parlare con l’assessore al Lavoro, Massimiliano Barison, a chiedere la casa integrazione straordinaria, speriamo anche retroattiva, perché in questo momento i lavoratori che sono a casa (in fabbrica ce ne sonno solo 14), si sono messi in ferie».
I quattordici che stanno lavorando hanno accettato le condizioni degli imprenditori: finire delle commesse importanti e urgenti, per avere il pagamento dello stipendio fino a marzo. «Sperando di ottenere la cassa integrazione» continua Pulga, «aspettiamo di conoscere anche i termini del concordato che presenterà l’azienda e di capire, nel momento in cui entrerà una nuova società a gestire un ramo dell’attività, questa quanto personale tratterrà e quanto eventualmente considererà in esubero e le condizioni che porrà. Una volta che conosceremo le loro intenzioni, potremo agire di conseguenza».
La Fia, Fabbrica italiana affettatrici, da oltre cinquant’anni produce e commercia macchine per affettare, per tritare carne, per il sottovuoto. Ha commesse importanti, perché la maggior parte del lavoro vola oltreoceano, da un cliente statunitense, che da solo rappresenta il 35 per cento degli ordini e del fatturato. Da gennaio la Fia ha manifestato, però, problemi di liquidità, che si sono tradotti nella sospensione del pagamento degli stipendi ai lavoratori. «Ci hanno annunciato che a breve, un ramo dell’azienda sarà affittato a una nuova società» conclude il sindacalista, «e i dipendenti sono preoccupati per la situazione, per il mancato pagamento di tre mensilità, per la conservazione del loro posto di lavoro e per la paura che il cliente americano possa anche ritirarsi, causando un grave danno economico agli affari dell’azienda».
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