Scopre sul web che ha un male raro

Camposampiero. Per 10 anni i medici le hanno ripetuto che era solo depressa
 
CAMPOSAMPIERO.
Peregrina da un medico all'altro, ma nessuno riesce a diagnosticarle la malattia rara di cui, da sola attraverso internet, ha scoperto di soffrire e che si chiama cistite interstiziale. Una condanna: colpisce l'apparato urogenitale, provoca un dolore intenso e risponde difficilmente agli antidolorifici. Oltretutto, dicono i libri medici, «è un disturbo subdolo perché difficile da diagnosticare». Colpisce principalmente le donne dai 30 ai 40 anni, per scoprirla ci si impiega dai 5 ai 7 anni dopo aver consultato specialisti senza ottenere una risposta. M.B., 37 anni, e vive nel Camposampierese. Soffre di cistite interstiziale da un decennio: «Nessun medico riusciva a capire quale fosse l'origine del mio male. Mi sono sottoposta a decine di esami. Ogni volta era una tortura e una speranza. Vivo praticamente in bagno, dove sono costretta ad andare giorno e notte. La malattia con gli anni peggiora, non riesco più ad avere una vita normale. Ho consultato più di 10 medici, ho speso una montagna di soldi per sentirmi ripetere "non hai niente". Oppure "sei depressa", "vai a Lourdes"». Mesi fa, la svolta. «Un amico mi ha detto di consultare delle pagine web».  A M.B. si è spalancato un mondo sconosciuto. Il resto lo ha fatto internet collegamento dopo collegamento, ricerca dopo ricerca. «Ho capito che poteva trattarsi di cistite interstiziale. Ma per averne la certezza ho dovuto sottopormi a una biopsia in un centro di riferimento, a Belluno. Serve un'operazione di distensione dell'utero per alleviare in parte il dolore perché non si può parlare di guarigione». M.B. ha finalmente iniziato una cura. «Ma ci vorranno mesi per vedere qualche miglioramento, se ci sarà. Se mi fosse stato diagnosticato all'inizio, forse avrei evitato tante sofferenze. Per fortuna l'ho scoperto da me, altrimenti è probabile che sarei andata avanti così all'infinito. Ora vorrei trovare persone che soffrono degli stessi problemi - conclude la donna - per avere un contatto, un supporto. Per tirarmi su, perché questa è una malattia che ti distrugge».

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