Sfolgorante Klimt subito ispirato dall’oro di S. Marco

Arriva al Museo Correr la mostra viennese La rivoluzione di Gustav ispirata da Hoffmann
Dienrico Tantucci

diEnrico Tantucci

VENEZIa

L’oro di Klimt torna a splendere in laguna. Quello che vide come in una pioggia, visitando in una giornata nebbiosa del 1899 con l’allora amata Alma Mahler e il compagno di Secessione Carl Moll - patrigno di lei - la Basilica di San Marco, rimanendo folgorato dai suoi mosaici bizantini.

Ed è da quella visita, la prima compiuta all’estero, e poi da quella, subito dopo, ai mosaici di Ravenna che nasceranno opere fondamentali come la “Giuditta” del Belvedere, da ieri in esposizione al Museo Correr, accanto alla “Salomè” o “Giuditta II”, che il Comune di Venezia acquistò in occasione della partecipazione del grande interprete del Modernismo in occasione della sua - allora sottovalutata - partecipazione alla Biennale del 1910.

Lo ha sottolineato ieri Alfred Weininger, curatore della mostra “Klimt nel segno di Hoffmann e della Secessione” che dopo essere stata fino a poche settimane fa al Museo Belvedere di Vienna - in occasione dei 150 anni dalla nascita dell’artista - approda ora a Venezia, in parte reimpaginata soprattutto per ciò che riguarda gli inizi del percorso klimtiano, allestita appunto al museo Correr, coprendo un arco di circa trent’anni, dal 1880 al 1910.

Una mostra magnifica nella sua complessità, ma insieme di presa immediata a chi voglia affidarsi semplicemente al suo piacere estetico - che si apre oggi al pubblico, fino all’8 luglio - a quasi trent’anni di distanza dall’altra grande esposizione “trasversale” che Palazzo Grassi dedicò alla Secessione viennese. In mostra anche le prime copie della rivista secessionista «Ver Sacrum», di cui proprio Hoffmann fu uno dei fautori.

E' il primo segno della nuova gestione del nuovo direttore dei Musei Civici Gabriella Belli, che l’ha strappata ad altre possibili sedi europee nel nome dei suoi rapporti personali e del debito storico riconosciuto di Klimt verso Venezia, come ha ricordato anche ieri presentando l’evento, il direttore del Belvedere di Vienna Agnes Husslein-Arco.

Ma l'esposizione vuole rendere omaggio oltre che a Klimt, all'architetto e interior designer Josef Hoffmann, che con lui condivise la concezione dell'arte come forza creativa che tocca ogni ambito del vivere moderno e l’utopia della “Gesamtkunstwerk”, l’opera d’arte totale. I pezzi di design di Hoffmann sono ancora oggi considerati come esempi pionieristici dello sviluppo del Modernismo viennese e in mostra sono in particolare le straordinarie spille quadrate in argento, corallo, lapislazzuli e altre pietre semipreziose, dell’inizio del Novecento, di una raffinatezza che supera i confini della loro epoca. Ma c’è in questa esposizione - allestita con grande eleganza dall’architetto Daniela Ferretti - il senso di Venezia accanto a quello della Mitteleuropa, associando in Klimt l’idea dell’arte e del bello, nel suo gusto esasperato e sublime per la decorazione, a quella della decadenza. In questo senso il declino di «quell»’impero austroungarico vissuto nel suo tempo dall’artista è rivissuto anche in quello dell’arte bizantina che sopravvive alla consunzione della sua civiltà.

E così la figurazione di ascendenza simbolista come fissata nel tempo, i colori perlacei o cinerei di tanti suoi ritratti, infondono il senso di un arte che travalica la civiltà, ormai estinta, che l’ha prodotta. La prima sezione della mostra precede la Secessione e ci mostra il “clima” figurativo in cui Klimt esordisce, spesso in simbiosi con un artista amico come Franz Matsch (ad esempio nella rappresentazione dei nudi maschili), fine ritrattista, e con il suo stesso fratello Ernst. Con essi tra l’altro fondò la Kunstler-Compagnie, «una piccola impresa che lavorava con lo spirito di una consorteria medievale per le grandi decorazioni della Ringstrasse», ha ricordato ieri la Belli.

Ma in mostra anche i densi paesaggi di Carl Moll e quelli quasi fantasmatici di Kolo Moser, il simbolismo ironico di Ernst Stohr e quello diafano, dalla venature preraffaelite di Jan Toorop. Parzialmente ricostruito, in una copia fedele, il Fregio di Beethoven - il cui originale è conservato nel Palazzo della Secessione di Vienna - concepito da Klimt per la XIV esposizione del gruppo secessionista, in omaggio alla Nona Sinfonia del grande compositore tedesco, a sottolinearne le capacità di redenzione umana e il cui allestimento fu curato proprio da Joseph Hoffmann.

Una delle autentiche novità di questa mostra veneziana è anche la presentazione nell’ultima sala, di un sublime dipinto di Klimt, il “Girasole”, del 1907, che il Museo del Belvedere ha acquisito solo una decina di giorni fa e che ha subito spedito a Venezia.

Klimt del resto - è stato ricordato anche ieri - non fece mai un autoritratto, diceva di guardare alla sua arte se si voleva sapere qualcosa di lui. Quasi a sottolineare il legame «veneziano» di Klimt e la sua influenza sull’arte italiana e lagunare dell’epoca, verranno esposte nelle sale della Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, dal 31 marzo, i cicli pittorici “Le Mille e una notte” di Vittorio Zecchin e “La Primavera” di Galileo Chini, che molto gli devono.

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