«Spinello in Consiglio, un gesto politico»

Secondo la sentenza del giudice di pace, fumando nell’aula del consiglio comunale un «quasi» spinello contenente un principio attivo talmente basso da non provocare alcun effetto, la consigliera dei Verdi Aurora D’Agostino aveva solo esercitato un legittimo diritto di critica e di espressione politica. Un gesto magari non condivisibile, poco importa: si trattava una performance politica svolta in aula per contestare l’ordinanza del sindaco Zanonato destinata a multare venditori e compratori di droga, fossero anche delle “canne”. È il 29 ottobre 2009. Non è bastato quel giudizio di primo grado per chiudere la querelle poco giudiziaria e molto politica. La Prefettura di Padova e il ministero dell’Interno hanno impugnato la pronuncia di fronte al giudice d’appello di Venezia. Che, l’altro giorno, ha sentenziato, confermando la statuizione di primo grado e condannando il Ministero «al pagamento di spese e competenze di lite... che liquida in euro 1.500... oltre all’Iva». In calce alla decisione, la firma del giudice onorario (l’avvocato Giovanni Calasso), della seconda sezione civile del tribunale di Venezia. Il 30 gennaio 2009 è adottata l’ordinanza contestata: il 4 febbraio, durante un consiglio, dopo aver dichiarato pubblicamente «... E adesso voglio la multa», l’avvocato D’Agostino si accende la “canna” di fronte a fotografi e giornalisti. I vigili la invitano a uscire, sequestrando il mozzicone sottoposto a esame tossicologico: il principio attivo individuato sarà di 0.66 mg. Il 15 giugno D’Agostino, nella insolita veste di tossicodipendente, viene convocata davanti alla commissione della prefettura per il programma terapeutico. Non ci sta. Difesa dalla collega Marina Infantolino, impugna il provvedimento ribadendo la natura dimostrativa e politica dell’atto. E ottiene ragione. Due volte: in primo grado e ora pure in appello. «...Il prefetto è incorso in un errore nella valutazione dei fatti, avendo l’appellata (D’Agostino)... inteso porre in essere attraverso il proprio atto una protesta di natura politica...» scrive il giudice d’appello, «Tenuto conto di quanto accaduto in consiglio era evidente che D’Agostino ... aveva inteso effettuare solo una protesta. Dalla convocazione (davanti alla commissione prefettizia) non poteva scaturire alcun provvedimento nei confronti dell’avvocato D’Agostino, non essendo né un importatore, né un esportatore né un detentore di sostanze destinate a uso personale o allo spaccio... ininfluente è il quantitativo di sostanza riscontrata». «Mi hanno trattata come se, annoiata durante la seduta, fossi uscita dall’aula per farmi una canna» commenta D’Agostino, «Alla fine non solo l’ordinanza non ha avuto alcuna utilità sociale, ma la perseveranza e l’ostinazione della prefettura hanno prodotto un danno erariale: pensiamo ai soldi versati per l’esame tossicologico, il primo e il secondo grado di giudizio e la condanna al pagamento delle spese... Mi spiace che pagheremo tutti noi e non chi ha messo in piedi tutto questo: uno spreco che meriterebbe di essere segnalato al premier Monti».
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova