Sudore, fatica e vesciche l’ingrata vita dei tamburini

. Nelle serate estive di afa e zanzare, girovagando per Monselice e dintorni, capita spesso di sentire il rullo ritmato dei tamburi. Sono gli allenamenti in vista della Giostra della Rocca: ogni settimana, per mesi e sempre più di frequente man mano che settembre s’avvicina, le rappresentative delle nove contrade si addestrano in ritmi e coreografie sempre più sofisticate, da rappresentare poi il giovedì della sfida in piazza Mazzini e infine la domenica della sfilata storica. Ore e ore a rullare a ritmo e affinare la sincronia, tanta fatica dopo giornate di lavoro e mentre gli amici trascorrono le serate al fresco in birreria, con i vicini che malediscono per il rumore: ma chi glielo fa fare? Ecco un viaggio di mezza estate per raccontare il mondo, il sacrificio e la passione dei tamburini monselicensi.
«Quante magliette bagnate di sudore ci dobbiamo cambiare!» racconta Pietro Castello della contrada della Torre «e quanta acqua beviamo per affrontare queste serate caldissime». Nella Torre militano i più piccoli tamburini della Giostra, che già dai 6 anni di età prendono un impegno che li coinvolge per 2 ore e mezzo di prove più volte la settimana e che li stimola anche ad inventare le coreografie e i ritmi.
«Il caldo? Le zanzare non ce lo fanno sentire! Non dobbiamo fermarci un momento se non vogliamo essere divorati» racconta Federica Voltani dei tamburi di San Bortolo, mentre provano la coreografia nei roventi parcheggi della zona industriale «Siamo iscritti alla Federazione italiana musici, quindi dobbiamo provare tutto l’anno. Ma finite le prove, come questa sera, ce ne stiamo tutti un poco in compagnia a riposarci e a parlare».
Anche a Ca’ Oddo, all’ombra del campanile, le zanzare banchettano con i tamburini, che con fatica sono riusciti a riformare un gruppo, dopo l’assenza dalla gara del 2017. «Abbiamo incontrato molte difficoltà» racconta Michela Masiero «L’ambiente dei tamburini è poco conosciuto, ci sarebbe bisogno di più attenzione anche durate l’anno verso il nostro impegno. Lavoriamo 11 mesi, ma ci si accorge di noi solo per la gara o, più spesso, perché diamo fastidio. Se fossimo valorizzati anche in altri momenti sicuramente ci sarebbero più ragazzi interessati alle nostre attività e più comprensione da parte delle persone».
«Si tratta di un impegno tanto grande che richiede tempo e costanza. Io dopo 8 ore di lavoro sono qui con i miei compagni a imparare qualcosa di nuovo ma anche a stare assieme e a mantenere il gruppo unito» racconta Alessandro Callegaro, capo tamburi di San Martino «abbiamo la fortuna che don Damiano fa da filtro alle proteste dei residenti per il rumore. Però non sanno che quando piove siamo costretti a provare con il k-way addosso... Questa è passione e dedizione per un’esibizione impegnativa e spettacolare».
«Io non ho tanti amici e possibilità di uscire, ma nel gruppo dei tamburi del Carmine, anche se sono la più piccola (13 anni), sono stata accolta con affetto» racconta Vittoria Di Renzo «È un gruppo con un obiettivo comune che mi ha fatto conoscere dei veri amici».
«Vedi questi nastri e cerotti? Servono per coprire le vesciche» racconta la capo tamburi di Monticelli Alessandra Biscaro «Le nostre mani sono distrutte dagli allenamenti e testimoniano l’impegno e la disciplina che mettiamo nelle nostre coreografie e musiche. Siamo accolti bene dalla frazione e abbiamo anche le nostre fan che ci applaudono mentre proviamo lungo le vie della frazione: non abbiamo altri spazi».
Tutti i tamburini sono uniti da un obiettivo comune che li coinvolge e appassiona, ma sanno che non basta. «Se non veniamo valorizzati e difesi dalle amministrazioni comunali, è difficile andare avanti e avere nuovi ragazzi nel gruppo. Devono far passare il messaggio che si tratta di un impegno bellissimo» racconta Sara Brigo di San Giacomo «tante volte i genitori ci chiedono chi ce lo fa fare, dato che veniamo spesso criticati».
Anche i draghi di Marendole la pensano così e propongono degli incontri nelle scuole proprio per far conoscere la “vita dei tamburini”: «Noi facciamo esibizioni in Italia e all’estero, quindi l’impegno è davvero pressante, ma lo facciamo con piacere» racconta Anna Canazza «E poi ci sono anche le storie belle, come quella di Ahmed, egiziano, che ha ottenuto il permesso per restare in Italia anche grazie alla raccolta firme e alla relazione del gruppo tamburi di cui faceva parte».
Pure la Contrada di San Cosma si sta preparando alla gara: sono quasi duecento i ragazzi di Monselice e limitrofi che da novembre a settembre dedicano serate, domeniche, impegno, fatica, vesciche e sudore per regalare agli spettatori una serata e una sfilata spettacolari ed uniche, ogni anno con delle novità.
Altro che fracassoni...
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